venerdì 20 gennaio 2012

ZEUS E HERA

Oggi continuiamo a farci gli affaracci del nostro mitico Zeus,
e ci occupiamo della sua moglie leggittima,Hera,alla quale ne fa passare di cotte e di crude.



La toeletta di Giunone
,Andrea Appiani 1811 circa



Nella mitologia greca Hera (in greco Ἥρα o Ἥρη) era la moglie e sorella maggiore di Zeus.

Figlia di Crono e Rea, venne brutalmente mangiata dal padre, che intendeva ucciderla come tutti i suoi fratelli, perché una profezia aveva detto che uno dei figli di Crono avrebbe preso il suo posto sul trono degli dei. Zeus però riuscì a salvarsi e, una volta cresciuto, salvò tutti i suoi fratelli, uccidendo poi Crono con un fulmine.

Era la dea del matrimonio e la sua continua lotta contro i tradimenti del consorte diede origine al tema ricorrente della "Gelosia di Hera" che rappresenta lo spunto per quasi tutte le leggende e gli aneddoti relativi al suo culto. La figura a lei corrispondente nella mitologia romana fu Giunone. I suoi simboli sacri erano la vacca ed il pavone

Hera veniva ritratta come una figura maestosa e solenne, spesso seduta sul trono mentre porta come corona il "Polos", il tipico copricapo di forma cilindrica indossato dalle dee madri più importanti di numerose culture antiche. In mano stringeva una melagrana, simbolo di fertilità e di morte usato anche per evocare, grazie alla somiglianza della sua forma, il papavero da oppio.

I templi di Hera costruiti in due dei luoghi in cui il suo culto fu particolarmente sentito, l’isola di Samo e l’Argolide, risalgono al VIII secolo a.C. e furono i primissimi esempi di tempio greco monumentale della storia (si tratta rispettivamente dell'Heraion di Samo e dell'Heraion di Argo).
Il nome "Hera" potrebbe avere numerose diverse etimologie contrastanti l’una con l’altra. Una prima possibilità è di metterlo in relazione con "hora" (stagione), e di interpretarlo come "pronta per il matrimonio". Alcuni studiosi ritengono che possa significare "padrona" intendendolo come un derivato femminile della parola "heros" (signore). C’è chi propone che significhi "giovane vacca" o "giovenca", in conformità con il comune epiteto a lei riferito di "Boopis (greco : "βοῶπις" - dall’occhio bovino). La voce "E-Ra" è comunque già presente nelle più antiche tavolette micenee. Tutto questo indica però che, a differenza di quanto accade per altri dei greci come Zeus e Poseidone, l’origine del nome di Hera non può essere ascritta con sicurezza né alla lingua greca né in genere ad una lingua indoeuropea. Alcuni aspetti del suo culto sembrano suggerire che Hera sia in realtà una figura sopravvissuta, con alcuni adattamenti, da antichi culti minoici e pelasgi e si rifaccia ad una "grande dea madre" adorata in quelle culture. L’importanza di Hera fin dall’età arcaica è testimoniata dai grandi edifici di culto che vennero realizzati in suo onore.Il culto di Hera, adorata come "Hera di Argo" (Hera Argeia), fu particolarmente vivo nel suo santuario che si trovava tra le città-stato micenee di Argo e Micene, dove si tenevano le celebrazioni in suo onore chiamate Heraia.L’altro principale centro dedicato al suo culto si trovava nell isola di Samo. Templi dedicati ad Hera sorgevano anche ad Olimpia, Corinto, Tirinto, Perachora e sulla sacra isola di Delo. Nella Magna Grecia, a Paestum, quello che per lungo tempo fu creduto essere il tempio di Poseidone, negli anni ’50 si è scoperto che in realtà è un secondo tempio dedicato ad Hera.

Nella cultura greca classica, gli altari venivano costruiti a cielo aperto. Hera potrebbe essere stata la prima divinità a cui fu dedicato un tempio dotato di un tetto chiuso, che fu eretto circa nell’ 800 a.C. a Samo, e fu successivamente sostituito dall’ Heraion, uno dei templi greci più grandi in assoluto. I santuari più antichi, per i quali vi sono meno certezze circa la divinità a cui erano dedicati, erano realizzati secondo un modello Miceneo chiamato "casa-santuario". Gli scavi archeologici di Samo hanno portato alla luce offerte votive, molte delle quali risalenti al VIII e VII secolo a.C., che rivelano come Hera non fosse considerata soltanto una dea greca locale di ambiente egeo: attualmente il museo raccoglie statuette che rappresentano dei e supplici ed offerte votive di altro tipo provenienti dall’ Armenia, da Babilonia, dalla Persia, dall’Assiria e dall’Egitto, a testimonianza dell’alta considerazione di cui godeva questo santuario e del grande flusso di pellegrini che attirava.

Sull’isola Eubea ogni sessant’anni si celebravano le Grandi Dedalee, riti dedicati ad Hera.

Nelle raffigurazioni ellenistiche il carro di Hera era trainato da pavoni, una specie di uccello che in Grecia è rimasta sconosciuta fino alle conquiste di Alessandro: Aristotele, l’istitutore di Alessandro si riferiva a quest’animale come all’ "uccello persiano". Il motivo artistico del pavone fu riportato molto più tardi in voga dall’ iconografia rinascimentale, che fondeva tra loro le figure di Hera e Giunone. In epoca arcaica, un periodo durante il quale ad ogni dea dell’area egea era associato il "suo" uccello, veniva associato ad Hera anche il cuculo che appare in alcuni frammenti che raccontano la leggenda dei primi corteggiamenti alla vergine Hera da parte di Zeus.

Nei tempi più antichi la sua associazione più importante era quella con il bestiame, come dea degli armenti, venerata specialmente nell’isola Eubea detta "ricca di mandrie". Il suo epiteto più comune nei poemi omerici, "boopis", viene sempre tradotto "dall’occhio bovino" dal momento che, come i Greci dell’età classica, la nostra cultura rifiuta la più naturale traduzione "dal volto di vacca" o "dall’aspetto di vacca": un’Hera dalla testa bovina come il Minotauro verrebbe percepita come un oscuro e spaventoso demone. Tuttavia sull'isola di Cipro sono stati trovati dei teschi di toro adattati ad essere usati come maschera, il che suggerisce un probabile antico culto dedicato a divinità con un simile aspetto.

Altri suoi tipici epiteti furono :

* θεὰ λευκώλενος : theá leukốlenos, la dea dalle bianche braccia.
* χρυσόθρονος : khrusóthronos, dal trono d'oro.
* eukomos : dagli splendidi capelli.

La melagrana, antico simbolo dell’arcaica Grande Dea Madre, continuò ad essere usato come simbolo di Hera: molte delle melagrane e dei papaveri da oppio votivi trovati negli scavi di Samo sono realizzate in avorio, materiale che resiste all’usura del tempo meglio del legno, con il quale dovevano essere invece comunemente realizzati. Al pari delle altre dee, Hera veniva ritratta mentre indossava un diadema e con un velo sul capo.
Hera è la patrona del matrimonio propriamente detto e rappresenta l’archetipo simbolico dell’unione di uomo e donna nel talamo nuziale, tuttavia non è certo famosa per le sue qualità di madre. I figli legittimi nati dalla sua unione con Zeus sono Ares, Ebe (la dea della giovinezza), Eris (la dea della discordia) ed Ilizia (protettrice delle nascite). Hera, resa gelosa dal fatto che Zeus era diventato padre di Atena senza di lei (infatti l’aveva avuta da Metide), decise di per ripicca di mettere al mondo Efesto senza la collaborazione del marito. Entrambi però rimasero disgustati al vedere la bruttezza di Efesto e lo scagliarono giù dall’ Olimpo. Una leggenda alternativa dice che Hera mise al mondo da sola tutti i figli che tradizionalmente sono attribuiti a lei e Zeus, e che lo fece semplicemente battendo il suolo con la mano, un gesto di grande solennità nella cultura greca antica.

Efesto si vendicò del rifiuto subito dalla madre costruendole un trono magico che, una volta che ella vi si sedette, non le permise più di alzarsi. Gli altri dei pregarono più volte Efesto di tornare sull’Olimpo e liberarla, ma egli rifiutò ripetutamente. Allora Dioniso lo fece ubriacare e lo riportò sull’Olimpo incosciente, trasportandolo con un mulo. Efesto accettò di liberare Hera, ma solo dopo che gli fu concessa in moglie Afrodite.
Hera era la matrigna dell’eroe Eracle, nonché la sua principale nemica. Quando Alcmena era incinta di Eracle, Hera tentò di impedirne la nascita facendo annodare le gambe della puerpera. Fu salvata dalla sua serva Galantide che disse alla dea che il parto era già avvenuto, facendola desistere. Scoperto l’inganno, Hera trasformò Galantide in una donnola per punizione. Quando Eracle era ancora un bambino, Hera mandò due serpenti ad ucciderlo mentre dormiva nella sua culla. Eracle però strangolò i due serpenti afferrandoli uno per mano, e la sua nutrice lo trovò che si divertiva con i loro corpi come fossero giocattoli. Quest’aneddoto è costruito attorno alla figura dell’eroe che stringe un serpente per mano, esattamente come la famosa dea che teneva in mano i serpenti dell’epoca minoica.

Una descrizione dell’origine della Via Lattea dice che Zeus aveva indotto con l’inganno Hera ad allattare Eracle: quando si era accorta di chi fosse, l'aveva strappato via dal petto all’improvviso e uno schizzo del suo latte aveva formato la macchia nel cielo che ancor oggi possiamo vedere. Gli Etruschi dipinsero un Eracle adulto e già con la barba attaccato al seno di Hera.

Hera fece in modo che Eracle fosse costretto compiere le sue famose imprese per conto del re Euristeo di Micene e, non contenta, tentò anche di renderle tutte più difficili. Quando l’eroe stava combattendo contro l’ Idra di Lerna lo fece mordere ad un piede da un granchio, sperando di distrarlo. Per causargli ulteriori problemi, dopo che aveva rubato la mandria di Gerione, Hera mandò dei tafani per irritare e spaventare le bestie, quindi fece gonfiare le acque di un fiume in modo tale che Eracle non potesse più guadarle con la mandria, costringendolo a gettare nel fiume enormi pietre per renderlo attraversabile. Quando finalmente riuscì a raggiungere la corte di Euristeo, la mandria fu sacrificata in onore di Hera. Euristeo avrebbe voluto sacrificare alla dea anche il Toro di Creta, ma Hera rifiutò perché la gloria di un simile sacrificio sarebbe andata di riflesso anche ad Eracle che l’aveva catturato. Il toro fu così lasciato andare nella piana di Maratona diventando famoso come il Toro di Maratona.

Alcune leggende dicono che Hera alla fine si riconciliò con Eracle, dato che l’aveva salvata da un gigante che tentava di stuprarla, e gli concesse anche come moglie sua figlia Ebe.

I figli che Hera dette a Zeus sono numerosi:

Ares

Nella mitologia greca Ares (in Greco Άρης ) è il figlio di Zeus ed Hera. Viene molto spesso identificato tra i dodici Olimpi come il dio della guerra in senso generale, ma si tratta di un'imprecisione: in realtà Ares è il dio solo degli aspetti più selvaggi e feroci della guerra, e della lotta intesa come sete di sangue.

Per i Greci Ares era un dio del quale diffidare sempre.Il suo luogo di nascita e la sua vera residenza si trovavano in Tracia, ai limiti estremi della Grecia, paese abitato da genti barbare e bellicose;e proprio in Tracia Ares decise di ritirarsi dopo che venne scoperto a letto con Afrodite.Sebbene anche Atena, la sorellastra di Ares, venisse considerata come dea della guerra, il suo campo di azione era quello delle strategie di combattimento e dell'astuzia applicata alle battaglie, mentre Ares prediligeva gli improvvisi ed imprevedibili scoppi di furia e violenza che in guerra si manifestano. I suoi animali sacri erano il cane e l'avvoltoio.

La parola "Ares" fino all'epoca classica fu usata anche come aggettivo, intendendosi come infuriato o bellicoso, ad esempio si ricordano le forme Zeus Areios, Athena Areia, o anche Aphrodite Areia. Alcune iscrizioni risalenti all'epoca Micenea riportano Enyalios, un nome che è sopravvissuto fino all'epoca classica come epiteto di Ares

Pur essendo protagonista nelle vicende belliche, raramente Ares risultava vincitore. Era più frequente, invece, che si ritirasse vergognosamente dalla contesa,come quando combatté a fianco di Ettore contro Diomede, o nella mischia degli Dei sotto le mura di Troia: in entrambi i casi si rifugiò sull'Olimpo perché messo in seria difficoltà - direttamente o indirettamente - da Atena. Altre volte, invece, la sua furia brutale si trovò contrapposta alla lucida astuzia e alla forza di Eracle, come nell'episodio dello scontro dell'eroe con suo figlio Cicno.

I Romani identificarono Ares con il loro dio della guerra Marte, che a sua volta era stato adottato dalla più antica religione Etrusca.
I simboli di Ares

Ares aveva una quadriga trainata da quattro cavalli immortali dal respiro infuocato, legati al carro con finimenti d'oro. Tra tutti gli dei si distingueva per la sua armatura bronzea e luccicante ed in battaglia abitualmente brandiva una lancia. I suoi uccelli sacri erano il barbagianni, il picchio, il gufo reale e, specialmente nel sud della Grecia, l'avvoltoio. Secondo le Argonautiche gli uccelli di Ares, muovendosi come uno stormo e lasciando cadere piume appuntite come dardi, difendevano il suo tempio costruito dalle Amazzoni su di un'isola vicina alla costa del Mar Nero.
Nonostante la sua figura sia importante per poeti ed aedi, il culto di Ares non era molto diffuso nell'antica Grecia, tranne che a Sparta dove veniva invocato perché concedesse il suo favore prima delle battaglie e, nonostante sia presente nelle leggende riguardanti al fondazione di Tebe è uno degli dei sul conto del quale gli antichi miti meno si soffermano.

A Sparta c’era una statua di Ares che lo ritraeva incatenato, a simboleggiare che lo spirito della guerra e della vittoria non avrebbero mai potuto lasciare la città; durante le cerimonie in suo onore venivano sacrificati cani, usanza mutuata dall'antica pratica di sacrificare cuccioli alle divinità ctonie.

Il tempio di Ares nell'agorà di Atene che il geografo Pausania ebbe modo di vedere nel II secolo era in realtà un tempio la cui destinazione era stata cambiata all'epoca di Augusto, ed in effetti si trattava di un tempio romano dedicato a Marte. L' Areopago, ovvero la collina di Ares sulla quale predicò Paolo di Tarso, si trova invece ad una certa distanza dall'Acropoli e nei tempi antichi vi si svolgevano i processi e la sua presunta relazione con Ares potrebbe essere solo frutto di un'errata interpretazione etimologica.

Vale la pena riprendere più approfonditamente la storia di Ares,che come il padre aveva un brutto vizio:quello di sfornare figli!!!
;-)



Ilizia


Ilizia di Amniso (dal greco Eiléithyia), Eilithia, Eilythia, Ilithia, Eileithyia, Eileithyiai, o Eleuthia (dialetto cretese) è una figura della mitologia greca, probabilmente una divinità pre-olimpica, in taluni casi identificata dai narratori in forma plurale ("le Ilizie") (in particolare nell'Iliade). Nonostante nessun mito la vide protagonista, la citano numerose iscrizioni di nascite. Il suo nome appare in alcune tavolette di Cnosso redatte in Lineare B, che sono state analizzate attentamente e che mostrano la continuità di culto dal neolitico all'epoca classica. Una particolarità è che essa risulta essere l'unica dea minoica a non avere per nome un aggettivo sostantivato

Figlia di Zeus e di Era, come viene descritta da Esiodo, Apollodoro e Diodoro Siculo, viene altre volte identificata con Artemide, con Era o Demetra, tramite un procedimento di ipostasi. A Roma si confuse spesso anche con Giunone Lucina, mentre Pausania la descrive come brava filatrice e più anziana di Cronos, identificandola nella Moira. Secondo un inno di Olen, è un iperborea, madre di Eros. È descritta come presente alla nascita di numerosi dei, tra i quali Eracle, Apollo e Artemide. Secondo il III Inno Omerico ad Apollo, Hera catturò Ilizia, mentre stava tornando dal nord dagli Iperborei, per ostacolare le doglie di Leto per Artemide ed Apollo, essendo Zeus il padre. Le altre dee presenti alla nascita a Delo mandarono Iris a prenderla. Non appena Ilizia mise piede sull'isola, iniziarono le doglie.




Inizialmente le Ilizie (come descritte da Omero) erano coloro che provocavano i dolori del parto, solo successivamente, a Creta, l'Ilizia era venerata come dea della fertilità, per poi affermarsi a Delo. Col passare del tempo il culto si diffuse in molte città Greche, in Etruria e in Egitto e la sua funzione diventò quella di aiutare le partorienti.
La rappresentazione della dea non è costante, sebbene possano notarsi dei tratti peculiari comuni. Ad esempio, essa appare frequentemente nella ceramica durante la nascita di Atena e Dioniso. Nella nascita di Atena appaiono più precisamente 2 ilizie, con le mani protese al cielo, nel gesto dell'epifania.

Ad Ilizia furono consacrate delle caverne (probabilmente simboleggianti l'utero), che si ritiene fossero il suo luogo di nascita così come quello del suo culto, come menziona chiaramente l'Odissea; una delle più importanti è quella di Amnisos, il rifugio di Cnosso, dove sono state trovate stalgmiti che probabilmente la rappresentano. La caverna di Creta ha suggestive stalattiti dalla forma di una doppia dea che causa le doglie e le ritarda; inoltre sono state anche trovate delle offerte votive. Qui fu probabilmente adorata durante il periodo Minoico-Miceneo.

Nel periodo classico, si trovano santuari di Ilizia nelle città cretesi di Lato e Eleutherna ed una grotta sacra ad Inatos.

Ad Olimpia nel II secolo Pausania fece un resoconto di un tempio arcaico con una cella dedicata al serpente salvatore della città (Sisipolis) e ad Ilizia. In esso è raffigurata Ilizia come una sacerdotessa-vergine che sfama un serpente con dolci torte di orzo ed acqua. Il tempio infatti commemora l'apparizione improvvisa di una vecchia con un bambino fra le braccia, proprio quando gli Eli stavano per essere minacciati da Arcadia; il bimbo, posto a terra fra i contendenti, si mutò in serpente, spazzando via gli Arcadi in volo, e poi sparì dietro la collina.

Ad Atene, stando a quanto scrisse Pausania, erano presenti molte raffigurazioni di Ilizia, una delle quali è stata portata da Creta; egli menzionò inoltre santuari di Ilizia a Tenea, ad Argo ed uno estremamente importante ad Aigion.

Molto interessante la terracotta dell' Heraion del fiume Sele (conservata al Museo di Paestum) in cui la dea viene rappresentata nuda e in ginocchio dietro un mantello sostenuto da due genietti alati.

Ilizia, insieme ad Artemide e Persefone è spesso raffigurata con in mano delle torce per portare i bimbi verso la luce, fuori dall'oscurità, nella mitologia Romana infatti la sua controparte è rappresentata da Lucina (della luce).

Nei santuari greci sono presenti piccole figure votive di terracotta (kourotrophos) che raffigurano una bambinaia immortale che si prende cura di bimbi divini e si pensa che questa possa essere collegata a Ilizia.



Efesto


Efesto (in greco Ἥφαιστος, Hêphaistos) nella mitologia greca è il dio del fuoco, della tecnologia, dei fabbri, degli artigiani, degli operai, degli scultori, dei metalli e della metallurgia. Era adorato in tutte le città della Grecia in cui si trovassero attività artigianali, ma specialmente ad Atene. Nell'Iliade, Omero ci racconta di come Efesto fosse brutto e di cattivo carattere, ma con una grande forza nei muscoli delle braccia e delle spalle, per cui tutto ciò che faceva era di un'impareggiabile perfezione.

Nonostante la tradizione antica indicasse che la sua fucina si trovava sull’isola di Lemnos, i coloni greci che erano andati a popolare il sud dell’Italia presero ben presto ad identificare Efesto con il dio Adranos, che i miti della zona collocavano sull’Etna, e con Vulcano, collegato alle Isole Lipari: queste suggestioni fecero sì che la sua fucina nei versi di aedi e poeti venisse spostata in questi luoghi. Il filosofo Apollonio di Tiana disse: "esistono molte altre montagne infuocate in giro per il mondo e non dovremmo comunque occuparcene, se le attribuiamo a giganti e dei come Efesto."

Il culto di Efesto era in qualche modo connesso con gli antichi - e precedenti alla cultura greca – culti dei misteri dei Cabiri, che a Lemno erano chiamati anche gli Hephaistoi, ovvero gli "uomini di Efesto". Gli appartenenti ad una delle tre tribu che vivevano a Lemno chiamavano sé stessi "gli Efestini" e sostenevano di discendere direttamente dal dio.

I suoi simboli sono il martello da fabbro, l’incudine e le tenaglie. In qualche rappresentazione è ritratto mentre porta una scure.

Nella mitologia romana la figura equivalente ad Efesto era Vulcano.



Ebe

Ebe nella mitologia greca è la divinità della gioventù, figlia di Zeus e di Era. La sua figura è appare più volte nei poemi omerici e viene citata anche da Esiodo.

Nel monte Olimpo Ebe era ancella delle divinità, a cui serviva nettare ed ambrosia (nell'Iliade, libro IV). Il suo successore fu il giovane principe troiano Ganimede. Nel libro V dell'Iliade è anche colei che immerge il fratello Ares nell'acqua, dopo la battaglia con Diomede.

Nell'Odissea (libro XI) è la sposa di Eracle (anche se l'autenticità del brano non è certa). Euripide comunque la cita nelle Eraclidi.

Non sono sopravvissuti miti relativi ad Ebe e l'unico santuario a lei attribuito è quello di Flio.

In Arte, è una famosa statua di Antonio Canova, di cui esistono quattro versioni: l'unica in Italia è conservata al Museo di Forlì.

La dea corrispondente nella mitologia romana è Iuventas


Eris


Eris (dal greco antico Ἐρις, «conflitto, lite, contesa») è una figura della mitologia greca, la dea della discordia.

È strettamente legata ad Ares, cui spesso si accompagna, e secondo alcuni faceva da guardia al palazzo del dio della guerra, in Tracia.



L'episodio più significativo cui la dea è legata è quello della mela della discordia: furiosa per l'esclusione dal banchetto nuziale di Peleo e Teti, Eris giunse perfino a contemplare l'idea di scagliare i Titani contro gli altri Olimpi, che erano stati tutti invitati, e detronizzare Zeus. Poi, però, scelse una via più subdola per compiere la sua vendetta. Giunta sul luogo in cui si teneva il banchetto, fece rotolare una mela d'oro, secondo alcuni presa nel giardino delle Esperidi, dichiarando che era destinata “alla più bella” fra le divine convitate. La disputa che sorse fra Era, Atena e Afrodite per l'assegnazione della frutto e del relativo titolo, condusse al giudizio di Paride e in seguito al ratto di Elena che originò la guerra di Troia.
Tutti i mitografi convengono nel descrivere Eris come una dea spietata e sanguinaria, animatrice dei conflitti e delle guerre tra gli uomini, dei quali gode e si rallegra.

Omero ne offre un illuminante ritratto, descrivendola come «una piccola cosa, all'inizio» che cresce fino ad «avanzare a grandi falcate sulla terra, con la testa che giunge a colpire i cieli», seminando odio fra gli uomini e acuendone le sofferenze. Forse per questo il poeta le attribuisce anche l'epiteto di “signora del dolore”. Una simile rappresentazione si ritrova anche in Quinto Smirneo: mentre Eris cresce a dismisura, la terra trema sotto i suoi piedi, la sua lancia ferisce il cielo, dalla sua bocca si sprigionano fiamme spaventose, mentre la sua voce tonante accende gli animi degli uomini.

Lo stesso tema viene ripreso in una delle favole di Esopo: Eracle sta attraversando uno stretto passaggio, quando nota una mela che giace sul suolo. La colpisce ripetutamente con la sua clava, ma ad ogni percossa la mela raddoppia le sue dimensioni, fino a ostruire completamente il cammino dell'eroe. Atena, avvedendosi della cosa, spiega allora a Eracle come quella mela sia in realtà Aporia e Eris: se lasciata a sé stessa, rimane piccola, ma a combatterla si ottiene solo di ingigantirla.

Esiodo rammenta comunque come la dea abbia, oltre a quella violenta, anche un'altra natura, che se compresa può essere d'aiuto ai mortali: quando si presenta nella forma della competizione, la dea è di stimolo agli uomini, spingendoli a superare i propri limiti e permettendo loro di conseguire risultati che la loro innata pigrizia renderebbe altrimenti irraggiungibili
Pur essendo una divinità, il ruolo di Eris nella mitologia greca è marginale, limitato per lo più a brevi apparizioni sui campi di battaglia, specie durante la guerra di Troia. La dea vi è sovente appositamente inviata da Zeus per aizzare con le sue grida gli spiriti dei combattenti: non solo quelli dei greci, per i quali parteggia al pari di Ares, ma anche quelli dei troiani. Il suo accanimento supera però quello del fratello, al punto che Eris spesso rimane a gioire del sangue versato dagli uomini anche dopo che gli altri dei si sono ritirati, e ama passeggiare fra i corpi dei morti e dei morenti quando lo scontro si è già concluso.

Di lei sappiamo che forgiò l'alabarda con cui l'amazzone Pentesilea, figlia di Ares, combatté nella guerra di Troia, e che apparve in sogno a Dioniso, sotto le mentite spoglie di Rea per rimproverare al dio i suoi ozi ed esortarlo a riprendere la battaglia con il re d'India, allettandolo con la prefigurazione della sua prossima ascesa all'Olimpo. Aiutò Efesto a forgiare la collana di Armonia, che svolse il suo ruolo funesto nelle vicende dei Sette contro Tebe e dei loro Epigoni.

Stando a Nonno, fu l'ancella di Tifone durante la battaglia del mostro con Zeus, che invece era fiancheggiato da Nike.

Eris ebbe un ruolo anche nella vicenda del vello d'oro, nell'epoca in cui questo era entrato in possesso di Tieste, consentendogli di diventare re di Micene, ai danni dell'altro pretendente al trono, Atreo. Zeus, che prediligeva quest'ultimo, ottenne da Tieste la promessa che avrebbe ceduto il trono se il sole avesse cambiato il suo corso. Quindi, il dio inviò Eris sul cammino del carro di Elio, e la dea pose il sentiero della sera sotto gli zoccoli del cavallo dell'alba, di modo che il sole quel giorno, giunto a metà della volta celeste, invertì il suo normale tragitto e tramontò a oriente.

Infine, quando Politecno e Aedona di Colofone vantarono di amarsi più di Zeus e Era, la dea infuriata inviò Eris fra di loro per far nascere una disputa, il cui esito finale fu l'assassinio del marito da parte di Aedona



Dalla Saggezza diDeboraSelma

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