venerdì 20 gennaio 2012

Le Norne

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Presso la fonte di Urdarbrunnr, vivono le Norme, che tessono il filo del destino dei mortali:

Da quel luogo vengono donne, di molto sagge,

tre, da quello spazio che sotto l’albero s’estende;

ha nome Urdhr l’una, Verdhandi l’altra

- sopra una tavola incisero rune – Skuld quella ch’è terza;

queste decisero il destio, queste scelsero la vita,

per i viventi nati, le sorti degli uomini.


[cit. da "Il Canzoniere Eddico"]



Le norne (norreno: norn, plurale: nornir) nella mitologia norrena sono tre dísir le Dee del Destino ("Orlog" per i norvegesi da "or" = oltre, al di sopra e "log" = legge); I loro nomi erano Urdhr "destino", Verdhandi "ciò che diviene" e Skuld "debito-colpa”.( Urðr, Verðandi e Skuld.)

Dimoravano presso l'Urdabrunnr, il Pozzo di Urd che è descritto come bianchissimo e risplendente. Si racconta che presso tale fonte ci sia la piana dove gli Asi tengono consiglio, detta Idavall.0 Urd situato nella mitica città di Asgardhr, e la prima delle tre radici del Frassino del Mondo Yggdrasil che esse avevano il compito di irrorare ogni giorno con acqua e argilla per evitare che seccasse o marcisse. (benché alcune fonti asseriscano che esse dimorino sotto l'arco formato da Bifröst, il ponte arcobaleno ), dove tessono l'arazzo del destino. La vita di ogni persona è una corda nel loro telaio e la lunghezza della corda è la lunghezza della vita dell'individuo.
L'Edda poetica ci presenta le Norne come provenienti da Jotunheim, la terra dei giganti. I giganti erano ritenuti gli esseri più antichi dell'universo, ben più vecchi degli dèi, e spesso dotati di grande saggezza. Il gigante Mimir presedieva la fonte della Saggezza, in cui Odino sacrifica un occhio; il gigante Vafthrudhnir è l'essere più sapiente finchè viene sconfitto ed ucciso da Odino in un gioco di conoscenza sulle cose ed i nomi dell'universo. E' possibile dunque che si ritenesse che anche le Norne, così antiche e superiori per certi versi agli dèi che devono sottostare al Destino anch'essi, fossero di quella stirpe. Vengono descritte sempre nell'Edda come intagliatrici di rune, che incidono su assicelle e tavolette, forse per trascrivere le diverse vite delle creature dell'universo.

Stabilivano il destino degli uomini:lo svolgimento della vita delle creature dell'universo, nessuno eslcuso:
Uomini, animali, piante, esseri sovrannaturali, persino le divinità erano sottoposte al criterio delle Norne, le uniche creature che veramente possono essere definite "eterne" nella cosmogonia dei popoli nordici. Peculiare della mentalità nordica era, infatti, che tutto avesse una fine, e che nulla fosse eterno, neanche gli dèi che infatti sono destinati a perire nel Ragnarokr. L'unica cosa eterna è il Destino, che era appunto gestito dall'operato delle tre Norne.
Non sappiamo con precisione come venisse immaginato l'incidere del Destino sull'uomo, visto che spesso nelle saghe si trovano lodi ad uomini che da soli hanno fatto la propria fortuna e segnato così il proprio destino. Tuttavia dalle stesse fonti emerge una profonda convinzione di base che poneva tutti i grandi eventi nelle trame del Destino, a cui non ci si poteva sottrarre. Nella Saga di Oddr, ad esempio, una maga predice ad Oddr come morirà, ossia gli sarà fatale il cranio di un cavallo. Per tentare di scongiurare la profezia, Oddr uccide e seppellisce il cavallo, convinto così di aver cambiato il proprio destino. Ma quando sarà anziano, siederà un giorno vicino al luogo dov'è sepolto il cavallo, ed una vipera uscirà dal cranio del cavallo morto e lo morderà, causandone il decesso. Ciò indica che non si può sfuggire al Destino, neanche con l'astuzia. Gli dèi stessi lo sanno.

Odino, dotato di somma conoscenza di tutto ciò che accadrà nell'universo, sa perfettamente come finirà la sua esistenza, ossia che sarà sbranato dal lupo Fenrir. Sa come finiranno gli altri dèi e sa che dopo il Ragnarokr emergerà una nuova era dove regnerà la pace. Ma non può far nulla per modificare il tempo nè gli eventi: sarà come sarà, come deve essere. E ciò era un esempio per gli uomini, ai quali Odino stesso consiglia nello Havamal di non desiderare di conoscere il proprio Destino.

Dunque l'uomo è artefice del proprio destino nella misura in cui compie determinate scelte, e le azioni sono conseguenti a tali scelte. Ma le grandi linee della sua vita sono già decise, il percorso che deve compiere già tracciato. E' probabilmente così che può essere inteso la fede nel Fato delle tribù germaniche. Presso gli Anglosassoni troviamo il concetto di Wyrd, col significato di "Fato", affine al nordico antico Urð, con lo stesso significato.

Urð è anche il nome di una delle norne, la più anziana, filava il tessuto della vita, sbroglia la matassa e scioglie i fili. Verdandi, la seconda, dispensava i destini, stabilendone la durata è colei che è responsabile dell'andamento del filo: crea nodi, ingarbugliamenti che causano contorcimenti del filo che sarà poi lei a sbrogliare (sempre se è Destino che i "nodi siano sbrogliati"). Oppure può semplicemente lasciare che il filo scorra dritto nelle sue mani. Così si spiegavano i piccoli e grandi intoppi nella vita, e anche perchè per certi la vita fosse dura e difficile, per altri comoda e facile. Skuld è la terza norna, tagliava il filo al momento stabilito determinando così la morte dell'essere ad esso collegato. Il nome Skuld in certe fonti è citato anche come quello di una delle principali valchirie, ma non sappiamo se si tratti della stessa figura o di due figure con lo stesso nome.
. Nessuno poteva opporsi alle loro decisioni, nemmeno gli dèi.
Poiché tutto è preordinato nel complesso universo norreno, anche le divinità hanno i loro fili nel telaio, benché le norne non permettano loro di vederli. Questa sottomissione degli dèi a un potere esterno implica che un giorno anche loro avranno una fine e tale fine, il Ragnarök, è descritta ampiamente dalla letteratura nordica.

Le loro sembianze erano quelle di tre donne, la Fanciulla, la Donna (spesso con indosso una corazza come le Valchirie) e la Vecchia. Gli animali a loro sacri erano il Cigno, il Ragno e il Serpente (considerato simbolo dell'infinito per la natura del suo movimento, che sembrava non avere fine, così come la ricorrenza del numero tre, la "porta dell'infinito").

Oltre alle tre Norne più famose ne esistevano molte altre che potevano essere di stirpe divina, della stirpe degli Elfi o di quella dei Nani che a seconda dell'indole buona o malvagia, intessevano gioie o sventure.

In altre culture si trovano figure analoghe alla Norne, ad esempio le Parche romane e le Moire greche, Na'ashie'ii Asdzàà, la Donna Ragno, che donò ai Navajo l'arte della tessitura e intesseva il divenire, mentre nella religione egizia è Neth la tessitrice del mondo.



« Þaðan koma meyiar
margs vitandi
þríar ór þeim sæ,
es und þolli stendr;
Urð hétu eina,
aðra Verðandi,
skáru á skíði,
Skuld ena þriðiu.
Þær lög lögðu,
þær líf köru,
alda börnum,
örlög seggia. »


« Da quel luogo vengono fanciulle
di molta saggezza,
tre, da quelle acque
che sotto l'albero si stendono.
Ha nome Urðr la prima,
Verðandi l'altra
(sopra una tavola incidono rune),
Skuld quella ch'è terza.
Queste decidono la legge,
queste scelgono la vita
per i viventi nati,
le sorti degli uomini. »



Wikipedia
www.celticworld.it
www.cancellidiasgard.net


Le Parche

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«Ma perché lei che dì e notte fila,
non gli avea tratta ancora la conocchia,
che Cloto impone a ciascuno e compila…»


(Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27)



Le Parche (in latino Parcae), nella mitologia romana, sono il corrispettivo delle Moire greche.
In origine si trattava di una divinità singola, Parca, dea tutelare della nascita. Successivamente le furono aggiunte Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi di gravidanza.

Figlie di Zeus e Temi, la Giustizia. Esse stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.

In un secondo momento furono assimilate alle Moire (Cloto, Lachesi ed Atropo) e divennero le divinità che presiedono al destino dell'uomo. La prima filava il tessuto della vita, la seconda dispensava i destini, assegnandone uno a ogni individuo stabilendone anche la durata, e la terza, l'inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dèi potevano cambiarle.

Venivano chiamate anche Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato (dal latino Fatum ovvero "destino").

Nel Foro, in loro onore, erano state realizzate tre statue, chiamate tria Fata ("i tre destini").

Le Parche, usate come plurale, sono Nixe usata al singolare. Mentre Nixe appartiene al divenire dell'Essere Umano non nato e degli sforzi fatti dall'Essere Umano femminile nel partorirlo, le Parche si riferiscono alle trasformazioni dell'Essere Umano adulto.

Le Parche rappresentano l'ingresso del fanciullo nell'età adulta, la sua vita sessuale e la sua trasformazione in Essere Luminoso.

Queste tre fasi, del divenire umano, non permettono facilmente la costruzione di leggende.

Le Parche sono ammonimenti all'Essere Umano di proseguire la propria esistenza lungo una via.

Ognuna di queste fasi deve essere osservata scrupolosamente. Ogni Parca è preludio dell'altra.

L'Essere Luminoso non è possibile senza una vita sessuale. La vita sessuale non è possibile senza il divenire adulto del fanciullo. Troppi fanciulli invecchiano prima di diventare adulti. Troppi adulti impongono ai fanciulli schemi che, o in un senso (castità) o nell'altro (perversione sessuale), tendono a soffocare il divenire della loro maturità. Così costoro si trovano adulti già vecchi senza aver avuto la possibilità di crescere per fondare il proprio divenire.

Le Parche sono delle guardiane alle scadenze dell'esistenza umana. Esse sono attente affinché nessuno, che abbia la possibilità di diventare eterno, ripieghi su sé stesso per quanto a loro è possibile fare.

Le Parche sono le necessità del divenire umano. Che cos'è la Libertà dell'Essere Umano? Seguire il divenire scadenzato dalle Parche! Svilupparsi, estendendosi fino a divenire eterno.

Nei tempi più antichi c'era una sola Parca: la trasformazione dell'Essere Umano in Essere Luminoso.

Poi i veggenti videro che per giungere a questo erano necessarie alcune cose che apparivano loro come globi luminosi nei quali l'Essere Umano si tuffava per uscirne molto più potente. I veggenti riuscirono a distinguere due globi: riuscire a diventare adulti, non tutti gli Esseri Umani ci riuscivano, e la vita sessuale, non tutti gli Esseri Umani la praticavano.

Per questo motivo le Parche divennero tre; Nona, Decuma e Morte. Per questo motivo, ad esse, i poeti preferirono le Moire greche, più facilmente trasferibili nelle loro immagini poetiche.

Le Parche entrarono nelle leggende col nome di Fata. La loro funzione di protettrici del divenire umano era l'unica cosa che importasse. In ogni altro momento dell'esistenza, qualsiasi altro Essere poteva accedere a quelle stesse visioni e, pur usando altri nomi, indicare le stesse cose che i veggenti Romani indicavano col nome di Parche.

E' necessario ricordare le Parche perché è necessario ricordare quale sia la via da percorrere anche quando sembra che tutto congiuri contro gli Esseri Umani nei vari momenti della loro esistenza. Queste sono le tappe che vanno attraversate dall'Essere Umano adulto per diventare eterno, ma soprattutto, costui deve mettere cura e Attenzione al divenire dei propri figli, condurli a diventare adulti con la capacità di assumersi la responsabilità del proprio esistere. Non si può permettersi di soffocarne lo sviluppo perché altrimenti li perderebbe, come non si può permettere di ignorarli perché lo disturbano.

Egli deve essere attento nella ricerca della propria Libertà e l'insegnamento deve avvenire sempre attraverso il suo fare. Se l'Essere Umano adulto cercherà la Libertà sviluppando la propria Coscienza di Sé lungo la via del Se, anche i figli lo imiteranno, se l'Essere Umano adulto pregherà un dio in ginocchio, insegnerà ai suoi figli a pregare un dio in ginocchio deresponsabilizzandoli nei confronti dell'esistente.

L'Essere Umano ai propri figli insegna ciò che fa e non ciò che dice, o meglio, i figli imparano ciò che dice nella misura che questo descriva quanto fa e non ne sia in contraddizione.

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www.federazionepagana.it



Le Moire

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« Notte poi partorì l'odioso Moros e Ker nera
e Thanatos (morte, generò il Sonno, generò la stirpe dei Sogni;
non giacendo con alcuno li generò la dea Notte oscura;
e le Esperidi che, al di là dell'inclito Oceano, dei pomi
aurei e belli hanno cura e degli alberi che il frutto ne portano;
e le Moire e le Kere generò spietate nel dar le pene:
Cloto e Lachesi e Atropo, che ai mortali
quando son nati danno da avere il bene e il male,
che di uomini e dei i delitti perseguono;
né mai le dee cessano dalla terribile ira
prima d'aver inflitto terribile pena, a chiunque abbia peccato. »


(Teogonia di Esiodo, vv. 211-222)
« Ma perché lei che dì e notte fila,
non gli avea tratta ancora la conocchia,
che Cloto impone a ciascuno e compila... »


(Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXI, 25-27)


Le Moire è il nome dato alle figlie di Zeus e di Temi o secondo altri di Ananke. Ad esse era connessa l'esecuzione del destino assegnato a ciascuna persona e quindi erano la personificazione del destino ineluttabile.

Erano tre: Cloto, nome che in greco antico significa "io filo", che appunto filava lo stame della vita; Lachesi, che significa "destino", che lo svolgeva sul fuso e Atropo, che significa "inevitabile", che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. La lunghezza dei fili prodotti può variare, esattamente come quella della vita degli uomini. A fili cortissimi corrisponderà una vita assai breve, come quella di un neonato, e viceversa. Si pensava ad esempio che Sofocle, uno dei più longevi autori greci (90 anni), avesse avuto in sorte un filo assai lungo.

Si tratta di tre donne dall'anziano aspetto che servono il regno dei morti, l'Ade.
Il sensibile distacco che si avverte da parte di queste figure e la loro totale indifferenza per la vita degli uomini accentuano e rappresentano perfettamente la mentalità fatalistica degli antichi greci.

Pindaro, in epoca più tarda, le indicò invece come le ancelle di Temi, al suo matrimonio con Zeus.

Esse agivano spesso contro la volontà di Zeus. Ma tutti gli dei erano tenuti all'obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l'ordine dell'universo, al quale anche gli dei erano soggetti.

Si dice anche che avessero un solo occhio grazie al quale potevano vedere nel futuro e che spartivano a turno tra loro.

Dalla Saggezza diSkayler102

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