venerdì 20 gennaio 2012

✖ I Riti di Novembre ✖




Feste dal Calendario Pagano
01 novembre. Samhain.
02 novembre. Festa di Loki. Festa degli Antichi Spiriti. Festa di Epona.
11 novembre. Festa di Sucellus
16 novembre.Festa di Bastet- Ecate
18 novembre. Festa di Artia. dea Orsa della fecondità
19 novembre. Lctistrenia Cybeles: festa di Cibele
21 novembre. Festa di Hator
22 novembre. Festa di Plutone e Proserpina
23 novembre. festa di Artemide calliste
24 novembre. Giorno dei Desideri
25 novembre. Giorno del Sambuco.
26 novembre. Festdi Sekmeth
30 novembre. Festa di Diana.



Feste Pagane: Stregheria Italiana - Sabba
Calenda(Nome celta: Shamain,Halloween, ShadowFest, Martinmas, Old Hallowmas):[Ottobre 31] L'ultimo raccolto.La notte vince sul giorno, e la Dea muore per rinascere sotto forma di Dio.Gli ultimi frutti possono essere raccolti, ma si tratta della spoliazione che prelude l'arrivo della morte purificatrice e buia. Noi capiamo in questo giorno che nulla e' eterno e che la vita e' un ciclo di morte rinascita.E' il momento forse piu' magico e significativo dell'anno per noi. In effetti, questa festività' fu un bel grattacapo per i cristiani, in quanti si ostino' a resistere nonostante le repressioni.Per quanto si sia inventata una festa ad hoc (i cristiani NON hanno MAI avuto culti dei morti o degli spiriti nella loro cultura) quale la festa dei morti essa continua ad essere ricordata come la "Festa delle streghe".
Sono favorite le evocazioni e tutti i riti volti alla restituzione dei torti subiti.
E' il capodanno pagano. Fine dell'estate e inizio dell'inverno per i Celti, inizio del nuovo anno... il passaggio forse piu' importante. Questa festa viene anche considerata la terza ed ultima festa del Raccolto.
In questo avvenimento, la Dea si addormenta e lo scettro passa al Dio, ormai vecchio e in declino, nella stagione invernale. Anche la natura sembra morire, ma si ridesterà' la stagione successiva, tornando alla vita insieme alla Dea.
Per alcune tradizioni, la Dea non si addormenta, ma discende nella terra, lontana dalla luce, assumendo l'aspetto oscuro che caratterizzerà' l'inverno. In altre tradizioni, questa celebrazione corrisponde alla "morte" del Dio, che rinascerà' poi al Solstizio d'Inverno, dal grembo della Dea.

Nell' Area mediterranea il periodo dei primi freddi autunnali era dedicato ovunque al culto dei morti. Gia nell antico Egitto la tradizione vi collocava l'uccisione di Oriside da parte del malvagio fratello Seth. Presso i celti il primo novembre, Samhain( la fine dell' estate), era il capodanno, il "Tempo nero": una giornata importantissima, che non appartena ne all anno che finiva ne a quello che stava per cominciare, in cui cadeva ogni barriera tra i vivi e i morti e i due mondi potevano comunicare. Coloro che non si erano reincarnare potevano tornare in questo momento e rivedere i luoghi e le persone; si diceva che chiunque volesse incontrare i propri cari defunti poteva scoperchiare il sepolcro ed entrarvi: l'unica condizione era rimanere nell aldilà per un anno, fino al successivo Samhain. Si correva un solo pericolo: che i defunti decidesse di tenersi vicina la persona amata e le impedisse di tornare tra i vivi.
Samhain chiamata anche festa delle ombre, delle anime morte, dell Altro Mondo, era un momento di passaggio, il migliore per i riti di divinazione. Al tramonto di spegnavano tutti i fuochi, poi si accendeva un falò e da questo ogni capo famiglia infiammava la torci per riaccendere il fuoco nel focolare domestico, che non veniva mai lasciato spegnere per il resto dell anno. I sacerdoti celebravano cerimonie per tre giorni durante , nei quali si entrava in stretto contatto con le divinità: nel primo si commemoravano gli eroi, nel secondo i defunti, e nel terzo si tenevano fiere, giochi, corse di cavalli, riunioni conviviali e si gioiva per la fine delle ostili;era usanza infatti sospender le guerre durante il freddo.
Samhain è l'unica ricorrenza che non ha un carattere prettamente agrario., l'animale consumato nei banchetti era il maiale, animale sacro e simbolo di prosperità e sovranità, l'idromele era una bevanda tipica insieme alla birra e donava immortalità.
In Irlanda era il giorno riservato alla consacrazione di un nuovo re(se moriva il precedente)la festa che seguiva durava anche una settimana, e santificata con il sacrificio di un toro bianco aigli dei.
Da solenne ricorrenza Samhain si trasformò in Halloween, commerciale e simile a un secondo Carnevale, ma la parola Halloween ha origine cattolica; il primo novembre, giorno dedicato ai santi, veniva festeggiato con falò perché la luce splendesse incutendo timore agli spiriti che vagavano nell' aria affinché stessero lontani.
Le persone si mascheravano per non essere riconosciute e portate via da streghe e spiriti. In inglese tale giorno era dello All Hallows' Day e come tradizione celtica voleva la festa cominciava al tramonto, quindi la vigilia di Ognissanti era detta All Hallows' Eve da cui Halloween.



Rito della creatività
Per incrementare le vostre possibilità in ogni campo, alle tre del mattino del primo novembre accende una candela viola e una verde. Mettete delle foglie di salvia (meglio se fresche, ma vanno bene anche secche) sopra il vostro tavolo, in un contenitore naturale (un pezzo di corteccia, una pietra concava, una conchiglia, mezza noce di cocco) Tra le Candele mettete un vaso con un mazzo di fiori gialli ; poi dite tre volte:


La creatività dell' universo
appaia davanti a me.
Apro i mie occhi e il mio cuore
Per ricevere ogni potenzialità e ispirazione.
Che in me scorra il flusso dell opportunità.
Che questo sia fatto.
piaccia che cosi sia.



Spegnete le candele con due dita inumidite; lasciate pure appassire i fiori prima di buttarli, ma buttate via entro tre giorni la candela e la salvia in acqua corrente.


Riti specifici
Come impiegare il tempo prima del Solstizio d'inverno? I romani avevano le feste in onore di Nettuno, dio del Mare; le Termali, feste di buon augurio perché l'inverno non fosse troppo rigido; i sacrifici di animali nel Foro Boario. I Cattolici celebrarono la festa di san Martino, popolarissimo in Francia, il glorioso cavaliere che tagliò in due il suo mantello per coprire un povero che tramava di freddo in una giornata gelida e fu ricompensato con un caldo sole (il periodo è quindi noto come" Estate di Martino).
Noi, in attesa del magico Dicembre, facciamo un momento di pausa. In questo periodo le streghe sono solite " tirare il bilancio" dell' anno che sta per finire; forse vi chiederete perché questo non si fa la notte si San Silvestro, quando l'anno finisce e ne comincia uno novo, ma i tempi e le stagioni della magia non corrispondono esattamente alle stagioni canoniche. In particolare , è tradizione invocare cambiamenti positivi nella propria vita.


Rituale del cambiamento
Serve a importare un cambiamento di vita in positivo e ricambiare la buona sorte.
L'incantesimo si comincia in una notte di Luna Piena, a partire dalla seconda settimana di Novembre e non oltre il 21 dicembre. Occorrono una candela color argento
( che rappresenta la fine della cattiva fortuna), una nera (che rappresenta tutte le negatività della vostra vita), una di colore arancio (che propizia il cambiamento) una rossa cupo( che rappresenta l'arrivo della buona fortuna) e una candela che vi piace (che deve rappresentare voi stessi). Mettete sul tavolo il panno e cinque piattini in fila davanti a voi. Sui piattini metterete le cinque candele in questo ordine, a partire da sinistra : quella che vi rappresenta, la nera, l'argento, l'arancio e infine quella rosso cupo. A destra ponete l'incensiere, a sinistra un mazzo di fiori rosa freschi.
Fumigate la stanza con incenso mescolato a legno di cedro del Libano , per almeno quindici minuti.

Accendete la candela che vi rappresenta e dite:
Questa candela sono io e tutto quello che li rappresenta

Per seconda accendete la candela nera e dite:
Questa candela è il simbolo di tutte le cose negative della mia vita: la cattiva sorte si scioglierà come la cera di questa candela.

Per terza la candela color argento:
Questa candela porterò con se tutti i residui di sfortuna, che si dissolveranno nell' infinito.

Per quarta la candela arancio:
Questa candela rappresenta la luce che sarà portata nella mia vita dai cambiamenti positivi. Attendo la fortuna e la benedico.

Per ultima la candela rosso cupo e dite:
Questa candela rappresenta l'energia dell' universo, che io chiamo perché mi aiuti a cambiare in positivo la mia vita.

Concentratevi e ripetete nove volte:
Ti attendo , cambiamento, e yi do il benvenuto nella mia vita.

Lasciate bruciare le candele fino alla fine. Ripetete il rito per nove giorni, poi buttate tutto in acqua corrente entro sette giorni.




Festa di Epona 2 Novembre
Epona potrebbe essere la personificazione di un antico culto reso ai cavalli, un culto comune ai popoli venuti dalle praterie dell'Asia centrale: popolazioni tribali venute dall’oriente, che si espansero lungo la valle del Danubio in Europa centrale ed occidentale, popolazioni tra le quali non sorprenderebbe la venerazione di una divinità legata ai cavalli, perché gli equini erano vitali per un popolo errante (finché non emergono reperti precedenti, si può ipotizzare circa 4.500 anni fa in Europa l’addomesticamento più antico del cavallo, ad opera dei pastori che abitavano l’attuale Ucraina, fra Polonia e Romania. A rivelare la data approssimativa sono stati resti ossei di cavalli datati con il carbonio, rinvenuti sepolti insieme a manufatti per equini, come - per esempio - un morso in corno di cervo).

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Le popolazioni tribali associavano le energie maschili della natura con gli animali cornuti: da qui le divinità maschili taurine e caprine. Gli equini venivano invece collegati con le funzioni femminili di consolidazione e di fertilità.

Epona è per antonomasia la divinità femminile protettrice dei cavalli. Il suo nome deriva infatti dalla parola celtica "epos" che significa appunto "cavallo" - “epa” al femminile, cavalla.

Per i celti il cavallo era molto importante, al punto tale che essi non ne mangiavano per alcun motivo le carni.
Epona era una delle divinità più venerate e, tra le sue altre funzioni, conferiva la sovranità.
La "Dea dei cavalli" celtica racconta di un popolo dalla mentalità profonda, legato ad una concezione magica del creato e alla tradizione dei rituali druidici.

Il culto di Epona era diffuso soprattutto in Gallia e in Renania tra le tribù degli Edui, dei Lingoni e dei Treveri, ma comparve anche in aree più remote come la Britannia e l'Iberia. Anche in Romania ed in Iugoslavia si sono trovate delle iscrizioni che la citano come divinità.
I re irlandesi celebravano una cerimonia della “nascita simbolica” da Epona sotto forma di un puledro bianco, durante le cerimonie di proclamazione della loro regalità. In altre cerimonie, gli stessi re si “coniugavano ritualmente” con la dea Epona nel matrimonio sacro, per legittimare il proprio potere.
Epona è l’unica dea celtica adottata dai romani.

È possibile che la sua comparsa in Britannia sia collegata alla presenza delle truppe legionarie romane ma è, senza dubbio, una divinità celtica e si presuppone che le varie tribù celtiche della Britannia venerassero già da tempo una divinità femminile benigna, connessa con i cavalli ed il possesso di beni materiali, che era portatrice di salute e fecondità alle cavalle e donatrice di benessere ai semplici.

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La dea poteva assumere l'aspetto di una donna, di una cavalla, oppure quello di un fiume in piena; le sue immagini compaiono in molti contesti celtici, ma ci sono molte variazione e localizzazioni. Infatti, se è vero che la sua adozione come dea romana ha contribuito a spargere il suo culto in tutto il territorio dell’Impero, il fatto stesso rappresenta un importante esempio dell’influenza celtica sulla civilizzazione romana: Epona era l'unica dea celtica importata ufficialmente a Roma dove ha avuto anche in suo onore un festival.
Alcune epigrafi indicano che molti suoi devoti erano membri delle unità di cavalleria (nonostante normalmente fossero le divinità romane maschili ad essere associate ai cavalli e la cavalleria fosse certamente un dominio maschile a Roma). Infatti più che una “dea della cavalleria romana” era la protettrice di chiunque lavorasse o avesse rapporti d'affari concernenti i cavalli.

La dea comunque presiedeva soprattutto la salute e la fertilità degli animali. Montava lateralmente, alla maniera antica femminile e niente, nel linguaggio figurato, consente di definirla una divinità di guerra. Epona reggeva spesso oggetti di fertilità e nutrimento, piuttosto che armi: un piatto da cui un puledro si alimenta, della frutta o una cornucopia. Veniva rappresentata sempre in compagnia di uno o più cavalli, con ceste di grano o frutta ai suoi piedi, in alcune raffigurazioni portava appesa alla cintura una chiave come simbolo della sua capacità di aprire le porte dell'oltretomba e di favorire così la "rinascita".
Epona era associata anche all'acqua dei fiumi e al latte, nutrimento essenziale per i Celti ed - oltre che ai cavalli - agli asini, ai muli e ai buoi.

Il simbolo del cavallo con un cavaliere in groppa è uno psicopompo del viaggio finale delle anime.
Nel regno della vita e in quello della morte, Epona è un simbolo di indipendenza, di instinto e delle capacità vitali di consolidamento e di intuito.
Rappresenta anche il carattere dei cavalli: gioia di vivere, indipendenza e potenza di natura.
Epona è spesso associata alle dee Rhiannon del Galles e Macha dell’Irlanda: in tutte le leggende legate a queste due divinità sono ritratte le qualità eroiche femminili, pronte alla dedizione.
Nel medioevo cristiano la figura di Epona era ancora venerata come santa protettrice dei cavalli mentre il simbolo del cavallo bianco è stato assorbito dall’iconografia cristiana come simbolo di purezza e tuttora molti santi sono raffigurati su cavalli bianchi.
Come dea lunare, Epona tiene tra le mani una cornucopia, simbolo di abbondanza e di energia vitale. Spesso nutre i cavalli con frutta, mais o con mele ed è sempre ritratta a fianco di almeno un cavallo, oppure sulla sua groppa. Spesso è con un gruppo numeroso di cavalli. Altre volte la si vede in compagnia di un puledro che mangia tra le sue mani da una patera o che dorme vicino agli zoccoli della cavalla da lei montata.
E’ comune che compaiano dei cani o degli uccelli che la seguono. Gli uccelli spesso sono tre, si dice provenienti dall’aldilà, “dalla patria degli dei”, e che la loro canzone abbia la forza magica di far risuscitare dalla morte o di guarire dalla tristezza e dal dolore.
A volte è nuda, a volte indossa un ampio mantello.
C’era un santuario dedicato a lei in Borgogna, una regione particolarmente ricca di sue immagini.
Una statua di Epona proveniente da Alesia nell’est della Francia (uno dei suoi centri di culto originari) è un esempio del suo modo di montare lateralmente all’antica maniera femminile.
Ci sono inoltre statue che la mostrano insediata in un trono, con due puledri di lato (Epona da Schwarzenacker).
Spesso intorno alle sue immagini vi sono delle rose e sappiamo da Apuleio (L’asino d’oro) che le rose fresche venivano offerte sui suoi altari all’interno delle scuderie. L'abitudine di piantare rosai vicino alle scuderie era diffusa in Italia fino ad inizio del secolo... ma la rosa di Epona è la Rosa Canina, selvatica.
Era venerata anche sotto l’aspetto di cavalla bianca, molto probabilmente perché il bianco è stato sempre considerato un colore "puro", con connotazioni spirituali profonde, ed anche perché nei cavalli era raro.
Il culto del cavallo certamente si era sparso in Gran Bretagna dall'età del bronzo. La più famosa delle antiche raffigurazioni equine, il cavallo bianco di Uffington, è stato datata intorno 1400 a.C.

Questa figura intagliata in profondità nel gesso solido di una collina del Berkshire, descrive la sagoma stilizzata di un cavallo, unita ad elementi di uccello e di drago.

Molti ipotesi sono state fatte sulla provenienza di questa figura, alcune collegate ad una grande sconfitta dei danesi, ma soprattutto alle figure mitiche dei principi Hengist e Horsa ("stallone" e "cavalla"), tuttavia è possibile che il culto del cavallo fosse presente in questo luogo dal periodo neolitico.
Il cavallo di Uffington è abbastanza chiaramente femminile (come sono tutte le raffigurazioni antiche di cavalli bianchi in Britannia).

Era venerata anche sotto l’aspetto di cavalla bianca, molto probabilmente perché il bianco è stato sempre considerato un colore "puro", con connotazioni spirituali profonde, ed anche perché nei cavalli era raro.
Il culto del cavallo certamente si era sparso in Gran Bretagna dall'età del bronzo. La più famosa delle antiche raffigurazioni equine, il cavallo bianco di Uffington, è stato datata intorno 1400 a.C.

Questa figura intagliata in profondità nel gesso solido di una collina del Berkshire, descrive la sagoma stilizzata di un cavallo, unita ad elementi di uccello e di drago.

Molti ipotesi sono state fatte sulla provenienza di questa figura, alcune collegate ad una grande sconfitta dei danesi, ma soprattutto alle figure mitiche dei principi Hengist e Horsa ("stallone" e "cavalla"), tuttavia è possibile che il culto del cavallo fosse presente in questo luogo dal periodo neolitico.
Il cavallo di Uffington è abbastanza chiaramente femminile (come sono tutte le raffigurazioni antiche di cavalli bianchi in Britannia).


La devozione

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La protezione degli equini non è il solo campo di azione di Epona. Come dea dei cavalli Epona aveva speciale forza e significato, era simbolo di regalità, d’importanza e valore materiale. Molte immagini la descrivono come dispensatrice di nutrimento e la cornucopia dell’abbondanza, che ricorre nella sua iconografia, estende il suo potere in tutti i campi della prosperità.

Inoltre ha grandi poteri terapeutici connessi con la sofferenza degli animali di cui è protettrice, ma anche con la protezione degli esseri umani che con gli stessi animali hanno frequentazioni.

Epona è sicuramente stata in origine una dea dei cavalli, ma la sua funzione, oggi, include i poteri delle acque risanatrici, il nutrimento delle creature, e la custodia del riposo delle anime dei morti. Per analogia, inoltre è protettrice di tutte le creature forti e amanti della vita selvaggia, sportiva, dell’immersione nella natura, di chi ama correre e saltare, viaggiare o intraprendere un cammino (anche spirituale), di chi è forte e indipendente, di chi possiede uno spirito indomito.

Purtroppo non è rimasto niente degli antichi miti a lei connessi, tanto che addirittura sembra che il suo culto non avesse misteri speciali (pur essendo molto popolare), ma anche se le fonti storiche del suo culto passato sono perdute, non è difficile capire QUANDO ci può essere vicina: in tutte le donne esiste una creatura selvaggia e forte, molto potente anche se sommersa, che aspira a correre nel vento libera, annusando i profumi dei fiori. E in tutti gli uomini c’è una potenza serena e costante, una forza pacifica, tranquilla e invincibile nascosta sotto gli strati culturali.
Queste creature, piene di energia senza stress, che vivono profondamente sotto la nostra pelle di tutti i giorni, devono molto a Epona e da lei sono nutrite: a lei il potere di farle emergere!
epona

Con la rinascita di interesse nella “Vecchia Religione”, le basi per la nuova religione Wicca poste da Gardner nello scorso secolo e la relativa rivalutazione del divino al femminile, Epona potrebbe cominciare a riemergere dalle ombre riprendendo il suo legittimo posto nella nostra spiritualità, dopo gli anni di esilio che sono stati riservati a tutte le divinità più antiche.

La Meditazione

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Per avvicinarsi a Epona il modo più efficace è di cercare un maneggio; ormai ce ne sono quasi dappertutto (ma cercatene uno dove i cavalli siano amati e bentrattati!).

Generalmente i visitatori sono ben accetti, se educati. Dopo qualche visita non vi sarà difficile accarezzarli mentre sono nei box, a riposo e sporgono la testa curiosi di voi: il probabile vostro senso iniziale di timore sarà superato dall’attrazione per la loro quieta bellezza.

Offrite loro delle mele. Abbracciatene uno, meglio se femmina, sentite la flessibilità del suo collo, la forza immensa e dolce dei muscoli. State in ascolto. Guardate i suoi occhi dolcissimi e profondi, invocate su di voi il suo spirito: la potenza di Epona.
Magari continuerete così per altre visite, magari vi verrà voglia di concedervi una lezione e di montarlo…

In alternativa, se non c’è maneggio o avete timore insuperabile dei grandi animali, concedetevi una bella corsa a piedi in un prato, saltellando come quando eravate piccoli, nitrite, sbuffate, saltate, scalciate, mettetevi al trotto e al galoppo… sentitevi liberi e selvaggi, forti, sudati e felici!

Neanche questo vi convince?
Allora provate con una poesia:


Dove nel vasto mondo c’è aristocrazia senza arroganza?
Dove l’amicizia senza l’invidia?
Dove la bellezza senza vanità?
Qui dove la grazia si accoppia con la forza,
e la violenza viene domata dalla dolcezza.
Il regno del cavallo.




Il mito
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Nessun mito vero e proprio di Epona è sopraggiunto a noi. Secondo una leggenda pare che fosse la figlia di una cavalla e di un uomo e che, diventata dea, poteva ammettere la forma umana o quella equina indifferentemente.
Il suo cavallo era magico poiché, per quanto il suo passo apparisse lento e regolare, i cavalli più veloci non erano mai in grado di raggiungerlo e magica era pure la sua cornucopia, simbolo di fertilità e prosperità, che elargiva nutrimento senza mai svuotarsi.



Festa di Bastet 16 Novembre

La dea Felina Bast è una dea Egiazina


Io raccolgo la magia da ogni luogo e da chiunque la possegga,
veloce come il levriero, rapida come la luce...
La magia che crea la forma, che viene dal grembo della Madre,
la magia che invoca Dio, che viene fuori dal silenzio;
la magia che riscalda Dio, che viene dalla Madre.
Ora questa magia mi viene data da ogni luogo
e da ogni persona che la possiede,
veloce come il levriero, rapida come la luce."

Libro dei Morti - cap. XXIV



La Dea egizia Bast - dalle forme feline e da sempre "amica degli amici" dei gatti - è antichissima. Nei testi più datati figura come generata da Ra, il dio Sole, insieme alla sorella Sekhmet, mentre in testi successivi appare come figlia di Iside e Osiride, sorella gemella di Horus e, talvolta, come sua moglie (anche se spesso come moglie di Horus viene indicata Hathor oppure Sekhmeth).

Bast è madre del dio dalla testa di leone Mihos.

La profezia egizia secondo la quale Horus ritornerà per restaurare il ciclo solare del padre, con l'aiuto di sua moglie Bast, rispecchierebbe l'avvento dell'Era Acquariana.

È conosciuta con i nomi Bast, Ba en Aset, Bastet, Pakhet, Pasht, Pasch, Ubastet, Ubasti oppure più comunemente Bastet, anche se questo nome le dovrebbe essere riservato solo quando appare in forma di gatto.

La forma piú antica del suo nome - menzionata in documenti che risalgono al 3000 a.C. - è Pasht, però il suo culto arrivò a toccare l'apice in dinastie successive. Il culto di Bastet , che perdurò fino al settimo secolo d.C., era incentrato a Bubastis, una città localizzata nella regione sud-est del delta del Nilo che fu capitale durante la XXIII dinastia. Bubastis è il suo nome greco: il nome originario era Pwr-Bast o Pwr-Bastet. In egiziano pwr può essere tradotto come "casa" o "regno", quindi Bubastis era nota come Casa di Bast.
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Nel tardo periodo Bubastis fu capitale dell'Egitto per una dinastia e fu resa famosa da Erodoto - nel IV secolo a.C. - quando egli descrisse nei suoi Annali una delle festività che vi avevano luogo e che attirava devoti da tutto il paese.
Secondo Erodoto alla festa annuale di Bastet di fine ottobre partecipavano 700.000 persone che raggiungevano la città viaggiando su chiatte, suonando e cantando e facendo fluire in dilagante allegria il suono dei flauti e degli strumenti a percussione: "Si consumava più vino in quei giorni di baldoria che nel resto dell'anno".
Da una iscrizione che risale a Ramses IV, si viene a sapere che durante la festa della Dea era severamente proibito cacciare il leone.

Vi sono state, in Egitto, diverse città che hanno ospitato importanti e influenti templi dedicati al culto di Bast, come Memphis (Mennefer), Heliopolis (Iunu) e Herakleopolis (Henen-nesut) e tracce del culto di Bastet sono state rinvenute nell'Italia meridionale, specialmente a Pompei; nessuna città, però, le fu più sacra di Bubastis.
A Bubastis, distrutta dai Persiani nel 350 aC., gli scavi archeologici nelle rovine di Tell-Basta (il suo nome attuale) hanno fruttato molte scoperte, incluso un cimitero di gatti sacri mummificati.

Esiste una connessione fra Bast e le divinità dalla testa leonina o felina come Tefnut, Sekhmet (leonessa) o Mafdet (ghepardo) ed una relazione con altre dee in forma animale, come Wadjet, la dea-serpente e Hathor la dea mucca.

A partire dalla II Dinastia (approssimativamente 2890-2686 a.C.), Bast veniva raffigurata come un gatto del deserto, oppure come un grande felino: leonessa o pantera. Venne associata al gatto domestico solo intorno al 1000 a.C., e si pensa che fosse quella l'epoca in cui gli egizi iniziarono ad addomesticare i gatti.

Gli egizi divennero talmente devoti alla dea Bastet e ai gatti che promulgarono leggi per impedirne l'esportazione al di fuori dal regno, ma i mercanti fenici riuscirono a contrabbandarne alcuni nei paesi del Mediterraneo dove si diffusero ampiamente.
Poiché i gatti erano considerati semidei, in Egitto chi attentava alla loro vita era severamente punito.

Ascoltando le testimonianze storiche e osservando i molti reperti archeologici di questa divinità è facile rendersi
conto di come era considerata:

Nel tardo periodo Bubastis fu capitale dell'Egitto per una dinastia e fu resa famosa da Erodoto - nel IV secolo a.C. - quando egli descrisse nei suoi Annali una delle festività che vi avevano luogo e che attirava devoti da tutto il paese.
Secondo Erodoto alla festa annuale di Bastet di fine ottobre partecipavano 700.000 persone che raggiungevano la città viaggiando su chiatte, suonando e cantando e facendo fluire in dilagante allegria il suono dei flauti e degli strumenti a percussione: "Si consumava più vino in quei giorni di baldoria che nel resto dell'anno".
Da una iscrizione che risale a Ramses IV, si viene a sapere che durante la festa della Dea era severamente proibito cacciare il leone.

Vi sono state, in Egitto, diverse città che hanno ospitato importanti e influenti templi dedicati al culto di Bast, come Memphis (Mennefer), Heliopolis (Iunu) e Herakleopolis (Henen-nesut) e tracce del culto di Bastet sono state rinvenute nell'Italia meridionale, specialmente a Pompei; nessuna città, però, le fu più sacra di Bubastis.
A Bubastis, distrutta dai Persiani nel 350 aC., gli scavi archeologici nelle rovine di Tell-Basta (il suo nome attuale) hanno fruttato molte scoperte, incluso un cimitero di gatti sacri mummificati.

Esiste una connessione fra Bast e le divinità dalla testa leonina o felina come Tefnut, Sekhmet (leonessa) o Mafdet (ghepardo) ed una relazione con altre dee in forma animale, come Wadjet, la dea-serpente e Hathor la dea mucca.

A partire dalla II Dinastia (approssimativamente 2890-2686 a.C.), Bast veniva raffigurata come un gatto del deserto, oppure come un grande felino: leonessa o pantera. Venne associata al gatto domestico solo intorno al 1000 a.C., e si pensa che fosse quella l'epoca in cui gli egizi iniziarono ad addomesticare i gatti.

Gli egizi divennero talmente devoti alla dea Bastet e ai gatti che promulgarono leggi per impedirne l'esportazione al di fuori dal regno, ma i mercanti fenici riuscirono a contrabbandarne alcuni nei paesi del Mediterraneo dove si diffusero ampiamente.
Poiché i gatti erano considerati semidei, in Egitto chi attentava alla loro vita era severamente punito.

Ascoltando le testimonianze storiche e osservando i molti reperti archeologici di questa divinità è facile rendersi
conto di come era considerata:

PROTETTRICE DEI GATTI DOMESTICI

Gli egizi addomesticavano i gatti per proteggere le granaglie e le provviste alimentari dai roditori. Inoltre il gatto è uno dei nemici naturali dei serpenti, allora molto diffusi e temuti (sebbene anch'essi considerati sacri).
Probabilmente in origine Bast era proprio una forma divinizzata del gatto (o della gatta) e l'antropomorfizzazione che la vede con corpo di donna e testa di gatto venne in un secondo tempo. Grazie alle sue qualità feline Bast era protettrice della casa, delle granaglie e delle messi, protetrice dai serpenti velenosi, dea della prosperità e della ricchezza.
Bastet risponde sempre alle invocazioni di soccorso per la salute o l'integrità dei gatti.
Nel mondo latino a volte era nominata nella forma plurale “Eponabus”, che sembra essere un'indicazione di appartenenza al gruppo delle “dee triplici”.

PROTETTRICE DELLE DONNE, DELLE FAMIGLIE E DEI BAMBINI

Le gatte erano assimilate alla Luna: le loro pupille feline subiscono grandi variazioni al mutare della luce, tanto da ricordare le fasi di espansione e riduzione del nostro satellite. "Gli egizi hanno osservato negli occhi di un gatto le varie fasi lunari perchè con la luna piena splendono di più mentre la loro luminosità diminuisce con la luna calante e il gatto maschio muta l'aspetto dei suoi occhi anche in relazione al sole; infatti, quando il sole sorge, la sua pupilla è allungata; verso mezzogiorno è rotonda e la sera non si vede affatto e sembra che l'intero occhio sia omogeneo". (Edward Topsell)
Gli egizi conoscevano gli influssi della Luna sul mondo femminile e la sensibilità delle donne e dei gatti alle manifestazioni magnetiche ed elettriche. Il monumento che più esprime la natura segreta e misteriosa di queste due creature è la Sfinge di Giza, con corpo felino e testa di donna.
Come divinità delle Donne, dunque Bast era anche Dea dell'Amore, protettrice delle famiglie, della fecondità, delle nascite, dei bambini, della gioia.
Nella sua mano sinistra, veniva raffigurato spesso un amuleto sacro a forma di occhio di gatto, l'utchat (l'occhio di Ra, il dio Sole), che aveva poteri magici e indicava il potere di vedere le cose visibili e invisibili.
Questo amuleto veniva riprodotto nelle decorazioni nei templi e delle case, dove proteggeva da furti, malattie ed incidenti, ed anche nei gioielli per la protezione personale. Infatti, se portato al collo, proteggeva i viaggiatori e se veniva regalato agli sposi era auspicio di molti figli.
Molto probabilmente dalla parola utchat derivano la maggior parte dei nomi usati in varie lingue per identificare il gatto: gatto, cattus, gatus, gatous, gato, katt, katte, kitten, ecc.

SIGNORA DELLA MUSICA, DEL CANTO E DELLA DANZA

Come i gatti sono amanti della vita comoda, dei piaceri e del gioco, così erano anche gli egizi: Bast era una divinità gioiosa e amabile, patrona delle attività piacevoli e del divertimento.
In questa veste fu la signora delle arti musicali, della danza e del canto, che non mancavano mai durante le sue celebrazioni.
Come Dea delle Arti Musicali e delle Feste il suo attributo era il sistro sacro.
Poiché alle sue feste non erano ammessi i bambini si presume che il suo culto contemplasse molte libertà sessuali e la ricerca del piacere.
Un'altra particolarità di Bast era la predilezione per i profumi.

DEA DELLA VERITA'

Come i misteriosi gatti che sembrano conoscere tutto del mondo anche Bast era considerata la depositaria della Verità.
Una curiosità: pare che anticamente le donne lesbiche fossero conosciute come donne estremamente sincere e capaci di sostenere sempre la verità, per cui Bast era considerata Signora delle donne lesbiche.


IL SUO DOPPIO, SEKHMETH


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Un aspetto importante di Bast era l'essere sorella gemella di Sekhmet, dea raffigurata come una donna con la testa di una leonessa e, anch'essa con l'utchat come attributo..
Ma mentre, nel binomio, Sekhmet rappresenta il lato distruttivo e oscuro della dea e le forze disgreganti che agiscono negli umani e nella natura, Bast impersona gli aspetti creativi e vivificanti speculari. Insieme, le sorelle gemelle rappresentano l'equilibrio tra la luce e l'ombra, il creativo e il distruttivo, il bene e il male: in pratica l'armonia del Cosmo.
Bast e Sekhmet sono un interessante esempio della dualità che permeava la cultura egiziana: Bast era una Dea del Basso Egitto (il nord, il delta) mentre Sekhmeth proveniva dall'Alto Egitto (la Nubia). La loro sorellanza oltre che dell'armonia cosmica era simbolo dell'Unione dei Due Regni.
Secondo H.P. Blavatsky "[Bast] È chiamata anche Beset o Bubastis, ovvero il principio che riunisce e quello che separa".

Bast era espressione della magia della vita, della lungimiranza, della fertilità e della prosperità dei felini, mentre Sekhmet ne rappresentava la potenza (anche in guerra), l'abilità e la chiaroveggenza: veniva infatti interrogata dai sacerdoti per conoscere i piani del nemico e quindi aiutare i soldati in battaglia.
Quando le due sorelle sono affiancate le loro forze sono in equilibrio, mentre - in mancanza di una di esse - vi è la separazione, la disarmonia. Così gli aspetti estremamente positivi, femminili, amorevoli di Bast bilanciano l'aggressività di Sekhmet, mentre la vitalità e la potenza di Sekhmeth danno nerbo a una delle dee più aggraziate e femminili del pantheon egizio.


MEDITAZIONE DI BASTET


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È una meditazione adatta alle donne. Mettete sull'altare l'immagine della Dea o di un gatto; ponete sui due lati delle candele (viola, blu o argentate) e fiori profumati, bianchi, blu o viola

Avrete anche bisogno di una piccola candela del colore che in questo momento vi rappresenta meglio; mettetela di fronte all'immagine di Bastet.
È opportuno avere delle essenze, incenso o profumi, perché la Dea li gradisce: tradizionalmente Bast è vista come una dea dolce che ama la musica, la danza e il profumo. È dea dell'amore e della gioia, ama le coccole e le carezze, i lussi.
Tuttavia è meglio ricordarsi che, proprio come i gatti, lei ha un lato difficile, enigmatico ed anche aggressivo (rappresentato nel suo doppio Sekhmeth).

Chiudete gli occhi e respirate profondamente per qualche minuto rilassandovi con la vostra tecnica abituale. Quando siete completamente rilassate, aprite gli occhi, guardate per un po' di tempo la fiamma della vostra piccola candela. Poi chiudete di nuovo gli occhi, svuotate la mente e osservate il buio e il vuoto. Immaginate una nebbia nell'oscurità che comincia a muovere il buio intorno a voi. Guardate i vortici, ascoltate il silenzio.


A poco a poco, la nebbia si dissipa.
Non appena si cancella, si rivela al vostro occhio interiore un paesaggio desertico di sabbia rossastra.

Nelle vicinanze, si vedono le possenti colonne di un tempio.
Passeggiate verso il tempio sentendo il calore della sabbia sotto i piedi e il sole caldo sul corpo.

Ora osservate: come siete vestite? Osservate cosa vi circonda e prendete nota di tutti i dettagli. Usate il vostro occhio interiore per osservare l'ambiente che vi circonda. Cosa potete vedere?
Rendete reale nella vostra mente il luogo che state attraversando.

Arrivate alla base del tempio e vi prendete un po' di tempo per esaminarlo. Ci sono incisioni e bassorilievi sui muri o è disadorno?

Fate un respiro profondo e annusate l'aria. Odore d'incenso e profumi arrivano dal tempio, inebrianti, riempiono il naso... la testa.
Si sente smorzata una musica dolcissima, l'armonia dei flauti, il ritmo dei tamburi. Tutto questo vi attira.

Entrate dall'ingresso principale, attraversate un cortile assolato e vi trovate all'ingresso di una grande sala dalle colonne altissime, di pietra. Dentro è quasi del tutto buio, ma sull'altare ci sono ciotole di olio accese che emettono una luce tremolante.
Qui l'aria è fresca e l'odore di incenso è mischiato al profumo di fiori freschissimi.

Avanzate e osservate se ci sono delle persone - sacerdotesse - o se siete da sole.

Andate a toccare una delle colonne sentendo la ruvidità della pietra sotto le dita. Aggiungete dettagli e realismo alla scena.

Poi attraversate tutta la sala fino ad arrivare all'ingresso di un piccolo santuario. Contro il muro c'è una grande statua di basalto nero di un gatto seduto: la Sacra Gatta Bastet, porta orecchini d'oro e un collare di pietre dure.

Intorno ci sono incensieri, candele e sacerdotesse che si affaccendano. Ovunque vi sono gatti, alcuni seduti sul pavimento, altri nelle nicchie nelle pareti. L'aria è piena della vibrazione delle loro fusa.
Prendetevi del tempo e vedete se desiderate parlare con le sacerdotesse, se volete avvicinare un gatto o il simulacro della Dea.

Dopo pochi minuti, salutate e lasciate il santuario da un'altra porta. Vi trovate ora in un corridoio con le pareti dipinte. Anche qui non c'è molta luce... ma è possibile vedere dove si sta camminando alla chiarore delle candele.

Il corridoio si apre in una vasta sala, fiancheggiata da colonne. Di fronte a voi, in fondo alla sala, Su un altare in cima a una gradinata c'è un altro simulacro dorato della Dea.
È una donna in grandezza naturale, dalla testa di gatto, che porta un sistro decorato con gattini d'oro. Indossa un abito lungo a guaina e una collana, ma i suoi piedi sono nudi.
La sala risuona di musica vivace, suonata da un gruppo di sacerdotesse con flauti, tamburi e sonagli. Altri sacerdoti e sacerdotesse danzano sinuosamente al ritmo della musica, mischiati a gatti che giocano fra loro e con loro.

Il pavimento è coperto di petali che sprigionano una ricca fragranza. Vi avvicinate ai piedi della statua della dea e la guardate.
Visualizzate che - gradualmente - la statua si sta animando. Gli occhi diventano vivi e - lentamente - il rigido oro si trasforma in un morbido mantello di pelliccia dorata e in pelle vellutata e fresca.
Osservate la dea scendere le scale, leggera e felina, e venire verso di voi mentre vi osserva con i suoi occhi pieni di benevolenza e di pace. Bastet può vede la vostra anima e voi la sua: vi riconoscete.



Festa di Proserpina 22 Novembre

I MISTERI ELEUSINI

Morte è quanto vediamo da svegli;
sogno è quanto vediamo dormendo

Inno a Demetra
Attribuito a Omero

Demetra dalle belle chiome, dea, veneranda, io comincio a cantare,
e con lei la figlia dalle belle caviglie, che Aidoneo rapì;
lo concedeva Zeus dal tuono profondo, che vede lontano,
eludendo Demetra dalla spada d'oro, dea delle splendide messi





Festa di Artemide 23 Novembre
Indiscussa dominatrice di queste immagini è la Luna, il satellite della terra, quell’ammasso terrestre che influenza le maree e non poco l’umanità, composta per l’ottanta per cento di acqua.

La luna, signora della notte, venerata come Artemide, riassume l’archetipo del femminile virgineo, libero, non legato ad un’immagine maschile pur vivendo in una società di tipo patriarcale.
Artemide si aggira nel sangue di tutti noi in attesa delle condizioni ottimali per esprimersi: è una forza, un Ente che quando trova il modo di penetrarci diventa padrone della nostra vita pur di riuscire a portare alla conoscenza di tutti il suo canto.
E se ci opponiamo trova il modo di non darci requie finché non ha spezzato la corazza che ci siamo costruiti con “educazione” e mediazioni all’ambiente circostante: allora ci fa diventare veri e propri amanuensi.

Vi racconterò di come Artemide, è esplosa nella mia vita e quello che mi ha sospinto a creare.
È successo all’improvviso: non avevo mai scritto una poesia, ma la malinconia per la morte di Gustavo Rol, un sensitivo dagli indiscussi poteri mi ha “costretta” a prendere carta e penna.
Forse se non fossi stata “consigliata caldamente” da un amico poeta accreditato non avrei mai pubblicato una raccolta, ma così è successo e la Luna ha avuto modo di scardinare la mia apparenza di scrittrice ecc. facendo emergere il poeta che c’è in me.
Sottolineo che non è detto che bisogna scrivere la Divina Commedia per definirsi tale.
Tutto questo è per consigliare caldamente a tutti di lasciar emergere le potenti forze occulte della Luna, che siano indirizzate a rituali, alla scrittura, alla competizione sportiva.
Nella mia esperienza…

Artemide è l’occulto, il silenzioso, quello che non si vede,
quello che ci sfugge, il magico che popola i sogni infantili…


Ombra e luce di fuoco diffuso
sulla terra a strappare gli sterpi,
a distruggere i roseti aggrappati
sulle mura di pietra di lava,
rifugio segreto agli ultimi mostri
di feroci epopee obliate.
Uno gnomo si affaccia a rubare
la luna dal tuo sogno inquieto,
ma nel gesto si perde e vacilla
nel vuoto del silenzio notturno:
ti risvegli d’incanto e supponi,
sicuro, di tenere nella mani
prezioso il bottino del nano

Artemide è la trasmutazione:

Ho veduto la diafana Luna
specchiarsi su fragili onde,
che il vento solleva leggere.
Ho veduto sparire nel Sole
infuocate ghirlande di fiori,
tempestate di mille colori.
Ho veduto aprirsi la terra
e la linfa scorrere lenta
solenne, amara, silente.
Ho cercato il tuo sguardo,
ho sognato il tuo volto:
ho udito il tuo suono.
Son volata dal piombo nell’oro.

Non lascerò che amore chiuda gli occhi
e Luna chinandosi m’avvolga entro la terra…
Argento, oro diventi!

Fili d’argento
per legare i tuoi sogni
alle fragili foglie
di una solida quercia.
Ma tu, luna crudele,
di chi rubi il respiro
per nutrirti di vita
nell’ordire la trama
di voci nascoste,
per morire a te stessa
e rinascere ancora
più nera del corvo,
più bianca del giglio,
più rossa del drago?

Un raggio di luna
ha sfiorato quel ramo
dove ancora tremava
una foglia ingiallita:
lei, nel tornare alla terra,
ha pregato in silenzio
di serbare memoria
dell’argento raccolto
nella magica notte.

Artemide può diventare la fecondatrice,
quando rispecchiando la luce del sole avvolge la terra:


Dimmi, hai veduto
l’irosa gaggia
destarsi nell’ombra
e scricchiare le membra?
Ha perduto le foglie
e preteso il silenzio,
ma la pallida luna
fondendo l’argento
all’umida zolla
feconda di sogni
anche il ramo
più nero.

È la sorella che ci invita alla scoperta,
alla ricerca della nostra identità:


Nel silenzio del bosco
al lieve frusciare di fronde
un limpido raggio di luna
avvolge la corteccia del ramo.
Un sentiero nascosto
che invita a salire,
che invita a sognare
le speranze più assurde
di un incontro improvviso
con la ninfa occultata
tra le ali del mito.
E il mormorare di foglie
sospeso nella notte
ripete lievi promesse,
eterni giuramenti,
speranze vane,
fragili certezze.

Non sarà il destino
a velare lo sguardo
dove il chiarore lunare
illumina il cammino.

Artemide è la divinità che invochiamo
per lenire il nostro dolore…


Hai reso argenteo il mio cammino
senza donarmi frecce né faretra,
cani latranti o manto che protegga.
Hai messo fuoco dentro le mie vene,
hai acceso di sangue il purpureo canto;
ma solo l’ombra mi hai centellinato
d’armi e di eroi in sogni crepitanti.

nella delusione…

Hai veduto tremare
luna rossa sull’acqua:
illusione di onde
nel ritmico battito
di un pensiero che torna.
Resto solo nel sogno
un ricordo deluso,
senza scogli rugosi
tra le alghe silenti.
Resti solo nel sogno
un guerriero caduto
senza spada da porre
al servizio divino.

nella disperazione per la perdita dell’amata…

Stanotte lo spirito mio se n'è andato
dal corpo ferito e dissolto
e un canto d'amore mai detto
tra alghe e coralli s'è perso.
Ho veduto ghirlande di luna
posarsi sul mare
e sirene farsi d'argento
lungo la scia.
Mille volti col corpo di pesce
intonare funebri canti
su quell'onda
che il vento frantuma
lungo il bordo di ruvidi scogli.
Ho inseguito
nei tuoi occhi incantati
il riflesso
dei miei sogni perduti.
Stanotte ho veduto la luna
posare ghirlande di luci
e sirene donarti la vita.

Artemide un’immagine in realtà quaternaria:

Magikelune

Luna crescente (vergine e guerriera)
Dea dai candidi veli intrisi d’argento,
tu percorri la via seguita dai cani
che latrano al buio, mansueti al tuo fianco;
tu hai chiesto alle stelle di danzare sul corpo
di donna che nasce al nuovo cammino;
tu sei la vista, l’udito e il profumo
di chi teme in silenzio l’eterno abbandono.
Se risuoni di luce consacrando la donna,
proteggi con l’arco le fluttuanti emozioni
di chi vuole sognare nel riflesso d’argento
oltre il volto specchiato, un eroe senza tempo.

Luna piena (madre, guaritrice)
Radiosa e possente nel semplice soffio
di stato divino: hai colto la luce,
tenuto la fiamma di un padre solenne;
così tu sei madre e aiuti chi soffre,
mutando la forma del karma passato.

Luna calante (saggia, maga)
La saggezza è il tuo sangue la magia è dentro il cuore
dove l’aquila ha posto il suggello del giusto;
dove il puma ha lasciato i suoi cuccioli in salvo;
dove l’orsa ha veduto la sostanza del miele;
dove il corvo ha gracchiato la visione futura.

Luna nuova (creatrice, distruttrice)
Hai creato e distrutto sempre nuovi sentieri
per sfuggire alla vita per rinascere ancora
più nera di vuoto, più rossa di rabbia,
più bianca di sale.

“Strega” mi hai detto e io non ho fiatato.
“Strega sovrana di ogni suo pensiero”
è stato scritto da quel silenzio semi imbarazzato.
Sì, son io la Diana che sfugge al compromesso
di gesti inutili, d’inutili tenzoni.
Sì, son io la maga con tutti i miei colori
dal rosso al viola colmi d’emozione.
Sì, son io la madre dal grembo sempre aperto
che guarda e vede oltre la stupida menzogna.
Sì, son io la negra furia cieca
che uccide, che dilania per spingere alla luce
la nuova creatura.
Strega? Sì, può darsi, ma libera e regina.

Ma c’è un’altra particolarità di Artemide:
a lei si rivolgevano le partorienti per alleviare
i dolori e favorire le nascite.


Una stella
ha sorriso alla luna
nascondendo
la sua luce arrossata
dai bagliori
dentro il cielo cobalto.
Sei disceso
sulla scia colorata
richiamato
da una nenia suadente
al chiarore
di una fiamma struggente:
hai donato
la ghirlanda d’amore
a noi soli
naufragati e incantati
nel giardino dei pensieri perduti.

Abbastanza probabile che sia lei, la Luna
a far emergere i ricordi di vite passate...


Tamburi nel vento,
richiamo profondo
di rituali vissuti
in età senza pace.
Voci stanche e lontane
che conoscono i segni
degli antichi misteri
che salutano l’alba
e al tramonto il rimpianto
di quel tenero suono
che è la nenia silente
di una terra avvilita.

Non ci saranno più canti suoni o danze
quando le nozze d’Amore e Psiche
avranno reso ogni donna ebbra
di vita umana e di divino sogno:
ma allora, soltanto allora, sarai tu,
forse sarò io nel mio sepolcro,
a volgere lo sguardo nel futuro e
dal passato ancora un ricordare:
il grido di pietà agli dei levato
sarà promessa, debito o volere
per noi, per noi soltanto, al ritornare.

Un ultimo tizzone: il fuoco è acceso.
Ma prima che la brace incenerisca
ricorda questo amore e la passione
che divorando il corpo ha reso fuoco
e sogno il mio e il tuo amare.
Un soffio? Rinasceremo ancora, forse.


Nella Cabala la Luna è rappresentata in Jesod,
il fondamento, dove si riflette Malkut, il regno.


Corallo e alghe tra i capelli rossi
sorriso dolce di una rosa tea
incanto di Nettuno tra le onde,
piccola sirena, tu rinascerai.
Carne di mia carne e di mio sangue
strega tra le streghe bene accolta
allo sguardo di allegrezza pieno
risponderai con l’occhio attento
ricordando di ogni vita il sogno,
di madre in figlia unico dono,
tenderai la mano a pugno chiuso
e l’aprirai schiudendo il fato.

Fiamme e folgori,
cielo d’autunno,
mare ubriaco:
ho lasciato gli abissi
ho perduto lo scoglio
ho voluto vedere
attraverso i suoi occhi
realtà senza fine.
A sorelle sirene
posso solo gridare
con la voce ormai muta
e l’udito confuso:
Non cantate l’amore
non suonate le note
per chiunque vi appaia
dall’umano destino.
Dove Luna dipinge
i colori sfocati
il Sole divampa,
lascia solo detriti.

Leggera è comparsa la Morte:
ha sorriso pensosa guardando i tuoi occhi
ascoltando i tuoi sogni.
Ha levato la mano, ha dischiuso le dita
e lasciato che ancora sorridessi a te stesso.
La Morte e la Luna hanno vita da dare
hanno giochi da fare: nella parte più bruna
rispecchiano frasi confuse, d’amore;
nella faccia più chiara è raccolta la storia
di tutta una vita all’insegna del credo,
del voglio sapere.
Se volessi ubbidire alla legge che muove
i tuoi passi sicuri nel sentiero che sale
tu dovresti lasciare ogni vecchia illusione
e cercare di amare oltre il mero apparire.




Festa di Sekhmet 26 Novembre
Una delle dee nutrici e protettrici dell'allattamento, signora della medicina e delle battaglie, originaria della citta' di Memphis, spesso raffigurata con corpo di donna e testa di leonessa.
Sekmet significa “la Potente”, e ha nel suo nome la stessa radice dello scettro reale Sekhem. Un altro titolo egiziano per Sekhmet è Nesert, la fiamma.

Sekhmet appartiene alla triade di Menfi: Ptah/Sekhmet/Nefertum, dove Ptah è il creatore delle cose buone (la formazione e la composizione), Sekhmet è la distruttrice delle cose cattive (la dissociazione e la scomposizione), Nefertum è la riaffermazione, la ricostruzione di ciò che è buono (la reintegrazione, la riedificazione, la ricomposizione).

Sekhmet è la distruzione di ciò che non può durare, che non ha stabilità. In questo senso è il Tempo, che divora tutto quanto gli appartiene.

Secondo il mito, Ra, il dio sole, deluso del comportamento del genere umano, mandò Sekhmet, il suo occhio divino, a impartire una punizione agli umani ma la Dea, una volta iniziato, continuò a distruggere gli uomini senza che nessuno potesse fermarla. Allora Ra, mosso a compassione, fece inondare i campi di birra mescolata con una sostanza rossa che le dava la sembianza di sangue; Sekhmet, assetata di sangue, bevve, si addormentò e cessò di distruggere il genere umano...

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In Egitto, Sekhmet era onorata come dea della guerra, associata al potere distruttivo del Sole, all'occhio solare che brucia e giudica. Avversaria spietata sul campo di battaglia, Sekhmet incarnava la forza e il coraggio della leonessa.
Tuttavia, non era vista solo come icona di guerra ed occhio vendicativo del dio del Sole: i sacerdoti erano soliti praticare in suo nome un genere di magia simpatica per guarire le infezioni e le malattie. In questo ruolo, Sekhmet era conosciuta come “la Signora di Vita”, dea della medicina, con potere di dispensare o scongiurare le malattie, e molti dei suoi sacerdoti erano medici.
Per arginare le pestilenze si effettuavano, invocandola, rituali su grande scala in tutto il paese. Durante il regno di Amenhotep III, sono state scolpite centinaia di grandi statue di Sekhmet, forse in occasione della sconfitta di una peste particolarmente virulenta.

Sekhmet sembra essere stata una divinità assai complessa: per i faraoni era un simbolo della loro riuscita in battaglia, della loro prodezza, ma era anche adorata come madre delicata e protettiva, dea dell’allattamento (è nota un'associazione Sekhmet-Hathor).
Nel Libro dei Morti Sekhmet ha un ruolo importante durante il giudizio della probità dell’anima in esame.

Sekhmet è connessa con la potenza solare che, attraversando la spina dorsale, Djed, porta l’illuminazione.

Al giorno d'oggi, molte donne considerano Sekhmet come fonte di resistenza, indipendenza e affermazione, quando hanno la necessità di aumentare o infondere in sé questi attributi.
In molti sensi Sekhmet si è trasformata nel simbolo della donna moderna: è ancora molto importante come dea della medicina, portatrice di giustizia e come guardiana o protettrice, ma l'enfasi si è spostata sui suoi aspetti più attuali.

Devozione alla leonessa: dea di collera e AFFERMAZIONE DI SÈ


Brucio e fumo e lancio coltelli dai miei occhi e ruggisco
(benchè tiriate la mia coda),
i miei aspetti sono taglienti ed ho graffiato in profondità,
la mia energia è forte e feroce,
ed il mio fastidio ha necessità di essere espresso.
Benché a volte delicata, io posso essere molto intensa.
Una volta risvegliata sono difficile da escludere:
sono sempre appropriata, sempre necessaria.
Non provare ad eliminarmi,
devo essere sentita... riconosciuta:
sono Leonessa.



La Leonessa salta nella nostra vita, per liberare i nostri istinti primari in maniera positiva e, in quest’ottica, per aiutarci ad affrontare la collera, nostra ed altrui.

La collera, vostra o di qualcun altro vi rende la vita difficile?
Disprezzate la vostra rabbia perché vi hanno insegnato che è disdicevole?
Oppure la rabbia che esprimete è eccessiva, troppo fuori controllo?
Inversamente, avete così tanto represso la collera e ve ne siete così tanto distaccate che ora non siete più in grado di esprimerla?
Magari vi sentite "costrette" nei ruoli sociali attribuiti alla donna?
Qualcuno vi sfrutta o non vi rispetta?
Siete in una situazione di “gabbia”, reale o interiore?
Siete stanche della responsabilità?
Avete un compagno che è - o fa - il leone?
Avete un branco di “cuccioli dipendenti” nella grotta?

La leonessa Nyavirezi ci racconta che la nostra aggressività fa parte della nostra struttura di donne. Ci chiede di non rigettarla ma di imparare a esprimerla in senso misurato ed efficace, comunicandola in modo che non possa essere ignorata, ma senza che diventi devastante.
Impariamo a convogliare i nostri segnali di collera interiore in comunicazione ed espressione; trasmettiamo agli altri la spiegazione del nostro malessere, mettiamo dei paletti alle aggressioni quotidiane, alle mancanze di rispetto, allo sfruttamento.
Il nostro percorso vitale sarà più sereno quando non ci faremo “pestare la coda”, utilizzando la rabbia come nostro alleato che ci avverte.
Ogni giorno ricostruiamo la nostra riserva di energia vitale che ci serve per nutrire e sostenere il branco. E’ una grande fatica e una responsabilità e, quando il branco se ne approfitta o siamo stanche, abbiamo il diritto di ruggire e segnalare che non siamo inesauribili!!!


E comunque, dovremmo avere più spesso il diritto di correre libere e ruggire sotto le stelle della savana, esprimendo la solare, calda, potente, flessuosa, attenta, responsabile e fiera leonessa che è in noi

Il rito della Leonessa

Suono di tamburi tribali. Notte calda, stelle, luna piena oppure, all’inverso, solleone e arsura.
Cercate assolutamente di essere all’aria aperta, ci deve essere spazio: bene un prato, un campo. Se proprio non potete trovare un posto all’aperto, ripiegate su una stanza abbastanza grande e sgombera, per potervi muovere.
Scegliete con cura la musica, un ritmo africano, in crescendo e animato, meglio se suonato dal vivo. Scegliete il brano con cura. È bene accendere un fuoco o almeno una candela.

Invocate Nyavirezi, chiamandola dalla direzione del Sud, del Fuoco.

Si comincia con la posizione del felino addormentato, sdraiatevi a terra su un fianco e quando comincia la musica iniziate con stiramenti, strusciamenti contro un tronco, una roccia (l’angolo del divano), sbadigli… la coda è già spuntata… si muove piano, flessuosa. Con fluidità di movimenti vi sollevate bocconi, mani e ginocchia in terra, stirate le zampe anteriori, una per una, poi le posteriori, all’indietro. Inginocchiate a quattro zampe, sul ritmo del tamburo inarcate e flettete la schiena, uno, due, uno due… fin quando il ritmo entra nella pelle.

In piedi ora: recuperate le vostre vere gambe di donna ma mantenete la coda e le zampe anteriori e la testa leonina.
Il tamburo incalza, lasciatevi andare, muovete i fianchi, graffiate, ruggite. Gli occhi sono felini e magnetici, il corpo è forte e orgoglioso, la mente veloce.

Se siete sole è ora di andare a caccia.
Date forma ai vostri desideri e alle vostre necessità, vedeteli come prede sparse nella savana. Piano, in silenzio, avvicinatevi sottovento. La preda è lì per voi, vi spetta di diritto, siete la regina: avete facoltà di prendere ciò che veramente vi occorre. Scattate in velocità, correte lunghi passi raccogliendo e distendendo le zampe, balzate con precisione, afferrate strettamente… godete la vittoria!

Se invece c’è con voi un compagno che ha voglia di fare il leone (forse meglio in questo caso stare al chiuso!), iniziate la danza d’amore, mordete, arretrate, balzate di fianco, scartate, offritevi e negatevi… è la leonessa che conduce il gioco sottile.
Decide lei come andrà a finire…

Potete continuare il gioco in molte situazioni: con le amiche formando un branco solidale che danza e caccia in allegria, con i vostri figli-cuccioli rotolandovi con loro sul lettone o in spiaggia, vestendo una istantanea pelle di leonessa quando il vostro capufficio vi sta umiliando (non occorre rispondergli, se siete connesse con la Dea, basterà inviargli un felino sguardo di ammonimento), oppure quando vi viene alle labbra un sonoro “mavaffàn…” e invece lo trasformate in un vero ruggito di avvertimento, quando vi annoiate a fare la spesa nel megacentro commerciale e il fustino per la lavatrice al prezzo migliore diventa una preda da stanare.
L’importante è “sentirsi” nella pelle della leonessa, fare appello alla propria regalità, alla propria determinazione, al proprio potere interiore.
Dopo non sarà difficile, con le parole o senza, chiedere di essere considerata Leonessa anche da quelli che vi amano.
Con rispetto.

Fonti: I Giardini Incantati Devon Scott
www.ilcalderonemagico.it
Feste Pagane

Dalla Saggezza diSkayler102
alle ore 26/10/2010 00:00
del giorno: martedì, 26 ottobre 2010
a proposito di festività pagane
Grazie per i vostri commenti commenti


✖ I Riti di Ottobre ✖




Feste dal Calendario Pagano
04 ottobre. Festa del Bosco.
16 ottobre. Festa di Astarte.
20 ottobre. Festa di Pan.
22 ottobre. Festa degli Elfi.
28 ottobre. Giorno del Tiglio. Isia Die
31 ottobre. Grande Sabba di Halloween.



Feste Pagane: Stregheria Italiana - Sabba
Calenda(Nome celta: Shamain,Halloween, ShadowFest, Martinmas, Old Hallowmas):[Ottobre 31] L'ultimo raccolto.La notte vince sul giorno, e la Dea muore per rinascere sotto forma di Dio.Gli ultimi frutti possono essere raccolti, ma si tratta della spoliazione che prelude l'arrivo della morte purificatrice e buia. Noi capiamo in questo giorno che nulla e' eterno e che la vita e' un ciclo di morte rinascita.E' il momento forse piu' magico e significativo dell'anno per noi. In effetti, questa festività' fu un bel grattacapo per i cristiani, in quanti si ostino' a resistere nonostante le repressioni.Per quanto si sia inventata una festa ad hoc (i cristiani NON hanno MAI avuto culti dei morti o degli spiriti nella loro cultura) quale la festa dei morti essa continua ad essere ricordata come la "Festa delle streghe".
Sono favorite le evocazioni e tutti i riti volti alla restituzione dei torti subiti.
E' il capodanno pagano. Fine dell'estate e inizio dell'inverno per i Celti, ovvero fine e inizio del nuovo anno... il passaggio forse piu' importante. Questa festa viene anche considerata la terza ed ultima festa del Raccolto.
In questo avvenimento, la Dea si addormenta e lo scettro passa al Dio, ormai vecchio e in declino, nella stagione invernale. Anche la natura sembra morire, ma si ridesterà' la stagione successiva, tornando alla vita insieme alla Dea.
Per alcune tradizioni, la Dea non si addormenta, ma discende nella terra, lontana dalla luce, assumendo l'aspetto oscuro che caratterizzerà' l'inverno. In altre tradizioni, questa celebrazione corrisponde alla "morte" del Dio, che rinascerà' poi al Solstizio d'Inverno, dal grembo della Dea.
La Calenda o Samhain e' un momento di riflessione interiore, di abbandono del vecchio e di preparazione al rinnovamento. Ci fermiamo, riflettiamo su cio' che abbiamo compiuto durante l'anno, e cosi' facendo guardiamo a quello che verrà'. Come la natura si spoglia, s'arresta e si addormenta, altrettanto faremo noi, utilizzando questo sonno rigeneratore per prepararci ad affrontare la nuova vita e il nuovo ciclo.
La notte di questa festa e' inoltre il momento dell'anno in cui le "divisioni" tra i piani di realtà' si assottigliano, e il contatto tra questi e' piu' intenso.
Anche per questo nel passato si riteneva che in questa notte, gli spiriti dei defunti tornassero a camminare sulla terra, e a fare visita ai vivi.
Anticamente infatti si mettevano fuori casa luci e lanterne ad indicare il cammino agli spiriti.

Questa festa è considerato il Capodanno, o meglio detto il"Tempo Nero": una giornata importantissima che non apparentava ne all' anno che finiva ne a quello che stava arrivando, in cui cadeva ogni barriera tra i vivi e morti e i due mondi potevano comunicare. Coloro che non si erano reincarnati potevano tornare in questo mondo a riveder luoghi e persone; si diceva che chiunque poteva scoperchiare il sepolcro per incontrare i propri cari defunti: l'unica condizione era rimanere nell'aldilà per un anno intero, fino al successivo Samhain. Rischiando cosi che il defunto decidesse di tenersi vicino la persona amata senza piu lasciarla tornare tra i vivi.
Samhain è anche chiamata festa delle ombre, delle anime morte, dell' Altro Mondo, era ed è un momento speciale per i riti divinatori.
Al tramonto si spegnavano tutte le luci e i fuochi, si accendeva un falò e da questo si accendevano poi le torce con cui si riaccendeva il focolare domestico, questo compito aspettava ai capi famiglia.
I sacerdoti celebravano per tre giorni, nei quali si entrava in stretto contatto con le divinità: nel primo si commemoravano gli eroi, nel secondo i defunti, e nel terzo si tenevano fiere, giochi, corse di cavalli, riunioni conviviali e si gioiva per la fine delle ostili;era usanza infatti sospender le guerre durante il freddo.
Samhain è l'unica ricorrenza che non ha un carattere prettamente agrario., l'animale consumato nei banchetti era il maiale, animale sacro e simbolo di prosperità e sovranità, l'idromele era una bevanda tipica insieme alla birra e donava immortalità.
In Irlanda era il giorno riservato alla consacrazione di un nuovo re(se moriva il precedente)la festa che seguiva durava anche una settimana, e santificata con il sacrificio di un toro bianco aigli dei.
Da solenne ricorrenza Samhain si trasformò in Halloween, commerciale e simile a un secondo Carnevale, ma la parola Halloween ha origine cattolica; il primo novembre, giorno dedicato ai santi, veniva festeggiato con falò perché la luce splendesse incutendo timore agli spiriti che vagavano nell' aria affinché stessero lontani.
Le persone si mascheravano per non essere riconosciute e portate via da streghe e spiriti. In inglese tale giorno era dello All Hallows' Day e come tradizione celtica voleva la festa cominciava al tramonto, quindi la vigilia di Ognissanti era detta i>All Hallows' Eve da cui Halloween.

Un classico simbolo di Halloween è la zucca, ha funzione di lanterna,per cacciare gli spiriti o guidarne il cammino, ma anche ancora,i suoi semi sono da sempre usti per la divinazione sotto gli influssi della Luna, la sua polpa entra nei rituali di prosperità.



Rituali di Halloween

Un consiglio è quello di non chieder mai troppo, benché sia una notte magica non può fare miracoli, cercate di restare con i piedi per terra affinché cose magari negate, per una circostanza fortunata potrebbero benissimo esservi regalate.


Rito della Luna

Se vi vine voglia di vedere la faccia della persona destinata a vivere la vita con voi, recatevi la sera di Samhain in un luogo dove la luna sia ben visibile, votategli le spalle e fate si che Ella si rifletta in uno specchio che terrete nella mano destra. Accendete una candela Verde e mettetela in modo che anch'essa si veda nello specchio, nella mano sinistra invece, tenete un ramo di lavanda essiccata. Sulla vostra spalla sinistra dovrebbe quindi apparire il volto, nello specchio, della persona che sposerete.


Sogni premonitori.

Se una donna vuole sognare il suo futuro marito, la sera del 31 ottobre deve mangiare un aringa salata affumicata: se le appariranno in sogno alcuni uomini con una brocca d'acqua sposerà quello la ci acqua le farà passare la sete.
Se un uomo vuole sognare la sua futura sposa, prima di addormentarsi deve mettere un pezzo di legno di sorbo in un bicchiere d'acqua sul comodino: se sognerà di cadere in un fiume, la donna che lo salverà sarà quella che egli sposerà.


La cena Muta

In questa festa è possibile anche eseguire la cena muta, un rituale che serve sia per comunicare con una persona cara ce non c'è piu,consiste in oltre in un rituale che richiede 13 giorni di preparazione, o un altro modo per rivelare a voi il vostro futuro compagno/a.
Il secondo rituale che è meno "pericoloso" rispetto alla cena muta negromantica, lo trovate QUI


L' incantesimo della croce di sorbo

Questo rito era in uso presso i Celti che lo seguivano, a Samhain, o al primo di novembre; nel medioevo veniva addirittura fatto a Dicembre per il Solstizio. Accendete una candela rossa, dopo aver fumigato la stanza con l'incenso. Legate insieme a forma di croce due ramoscelli di sorbo, usando filo di seta rosso, recitando queste parole e caricandoli mentalmente di Luce:

Per questa croce di Sorbo
io (nome) proibisco a tutte le persone
avverse e ostili
di entrare nella casa di (nome)
Io vi proibisco
di avvicinarvi al suo corpo e alla sua anima
Io vi proibisco
di far entrare nella sua mente paura e dolore.
Che questa croce vi fermi
finché non avete valicato ogni montagna
attraversato ogni lago e ogni fiume
contato ogni granello di sabbia su ogni spiaggia
contato tutte l stelle del cielo notturno.



Tenete sospesa la croce sull' incensiere per qualche istante, in modo tale che assorba bene il fumo, poi appendetela sopra l'ingresso della vostra casa, nella parte interna oppure al collo della persona da proteggere dicendo:

Croce di sorbo, croce di magia
Proteggi (nome, illumini la via
Voglio, comando, posso cosi sia.



28 Ottobre al 3 Novembre ISIA DIE


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O Iside, la Grande, Madre di Dio, Signora di Philae,
Moglie di Dio, Adoratrice di Dio, e Mano di Dio,
Madre di Dio e Grande Sposa Reale,
Adornamento e Signora degli Ornamenti del palazzo.
Signora e desiderio dei Campi Verdi,
Fanciulla che riempie il palazzo con la sua bellezza,
Fragranza del palazzo, padrona della gioia,
Che completa il suo corso nel Luogo Divino.
Nube di pioggia che rende verdi i campi quando discende,
Fanciulla, dolce d'amore, Signora dell'Alto e del Basso Egitto,
Che dispensa ordini nella divina Enneade,
In accordo a tali comandi si governa.
Principessa, grande nella lode, signora di fascino,
il cui viso apprezza il gocciolio della mirra fresca.

Dal III Inno a Iside, Tempio di Philae


ISIDE
di Burt Seligmann

Iside è il gran potere generativo femminile,
l'essenza delle cose.


PLATONE, secondo Plutarco



Un elemento dell’antica cosmogonia destinato a sopravvivere alla magia egiziana fu il culto della grande dea Iside, colei che evoca ogni cosa gentile, la tenerezza della madre, la devozione della moglie, la fecondità e la grazia della donna.
Ella vivifica tutto ciò che è nato e tutto ciò che cresce, rigonfia colle sue lacrime le acque del Nilo, che, straripando, fertilizzano la contrada. La sua anima dimora nella stella Sirio, che per migliaia di anni, spuntando nel cielo mattutino durante il solstizio d'estate, segnalò agli Egiziani il ritorno della benefica inondazione del Nilo. Così si ripeteva eternamente l’atto creativo: risuscitato dal pianto di Iside, il marito Osiride, il Nilo sacro, risorgeva a nuova vita e fecondava la verdeggiante terra d’Egitto.

Iside dai tanti nomi riuniva in sé le qualità di molte divinità locali.
Il fedele ricercava la sua protezione e lo straniero riconosceva in lei i tratti della dea madre della propria terra: Minerva, Afrodite, Cerere, Ecate...

Ma Iside sovrastava su tutte. Il suo carattere materno rendeva per contrasto più ripugnante l'oscena e crudele condotta di Astarte, di Anaitis, di Cibele, le formidabili divinità orientali che esigevano l’olocausto delle fanciulle e la mutilazione dei giovani. Di fronte a quelle che si compiacevano del sacrificio umano, della guerra, della sterilità, Iside amava e proteggeva la vita.

Il suo culto si propagò attraverso l'Europa e l’Asia occidentale, ed ebbe aderenza col nascente Cristianesimo. Molti attributi della Santa Vergine risalgono ad Iside: l’Immacolata; Mater Domina - l’appellativo che s'è trasmesso nella denominazione Madonna.
«Realmente» dice J. G. Frazer nel descrivere il culto di Iside «il suo rituale maestoso, i suoi preti rasi e tonsurati, i suoi mattutini e i suoi vespri, il tintinnio della sua musica, il battesimo e l’aspersione d'acqua consacrata, le processioni solenni, le ingioiellate immagini della Madre di Dio, presentavano altrettanti punti di contatto colle fastose cerimonie del Cattolicesimo».

Ogni elemento attinente alla figura e all’abbigliamento della dea aveva il suo riposto significato. Il piedistallo della sua statua nella città di Sais recava incise queste enigmatiche parole : «Io sono tutto quello che fu, che è, che sarà... E nessuno dei mortali riuscì mai a scoprire quel che s’asconde sotto il mio velo».

Apuleio (II secolo dell’era cristiana) ritrae minutamente la dea, e dalla sua vivida descrizione il gesuita Atanasio Kircher (1601-1680) fece trarre un'incisione in legno (in basso, nella pagina), nella quale Iside è coronata d'una treccia di capelli, simbolo dell’influenza lunare sulle erbe e i foraggi. Spighe di frumento le adornano il capo, perché la dea scoprì il grano e insegnò a coltivarlo. I suoi capelli son tesi attorno a una sfera che rappresenta il mondo e poggia su di una ghirlanda di fiori esprimenti il suo influsso sul regno delle piante. Nella ricca acconciatura del capo due serpenti raffigurano il potere generativo della luna e il suo cammino sinuoso. I fluenti capelli l’appalesano per nutrice del cosmo. Nella mano sinistra porta un secchiello, simbolo dell’inondazione del Nilo; nella destra regge il sistro, il tinnulo strumento del suo culto, che secondo Kircher la dichiara genio del Nilo e guardiana contro ogni male. Il vestito riluce di tutti i colori lunari, e qual regina del firmamento si copre di un manto stellato, dalla balza decorata di fiori, allegoria del suolo ferace e ricordo del fatto che Iside scoprì le salutari virtù dei succhi vegetali. Sul grembo reca una mezza luna, i cui raggi magici fertilizzano il terreno, e poggia col piede destro sulla terraferma e col sinistro sull’acqua, poiché presiede ad ambedue gli elementi. Ella è la Stella Maris, la patrona di tutti quelli che viaggiano sull’oceano, e la nave, simbolo femminile, è a lei consacrata.
I fedeli contemplavano con desiosa curiosità questi suggestivi attributi che stimolavano le immaginazioni, e la figura della dea occupava le menti tanto dell’uomo semplice quanto del filosofo. Chi bramava una sapienza più alta ben presto si disinteressava dell’interpretazione materialistica degli stoici (per i quali il mito simboleggiava il Nilo straripante, o l’eclissi lunare o altri eventi astronomici), e dal mondo bruto si ritraeva alla sfera delle idee, vagheggiando di trovare una chiave trascendentale alla leggenda della madre del mondo.

Plutarco, sensibile all'ideologia esoterica platonica ed orientale, ragiona in termini misteriosi della santa trinità di Osiride, Iside e del loro figlio Horus. Questi gli sembrano personificare l’Intelligenza, la Materia e il Cosmo, ed insieme formano il triangolo perfettissimo, le cui proporzioni esprimono un segreto divino: la base, pari a quattro, è Iside, l’elemento femminile che concepisce; l’altezza, equivalente a tre, è Osiride, il principio maschile che crea; l’ipotenusa, cinque, è Horus, la prole.
Ogni triangolo tracciato secondo questi rapporti è un diagramma sacro dotato di potere magico; e anche i tre numeri che lo costituiscono manifestano forze soprannaturali. Tanto gli egiziani quanto i filosofi pitagorici s’erano appassionati alla dottrina dei numeri e ogni qual volta in tempi posteriori numeri e figure geometriche appaiono nei cerchi magici o sui talismani, discendono dall’antica numerologia.


«I numeri alludono a qualche mistero che Pitagora ha appreso nei templi egiziani, e si riferiscono a cerimonie che vi si effettuano o a simboli che vi si esibiscono». Così s'esprime Plutarco, ma non sa o non vuole rivelare il segreto, sebbene ripetutamente affermi che in ciò s'adombra un profondo significato: tutto nella religione egiziana - sono le sue parole – dev’essere inteso allegoricamente.

Iside è pervenuta all’occidente cristiano non solo nel culto della Madonna, ma anche nell’occulta dottrina dei maghi. Questi, seguendo le idee di Plutarco, scoprirono nella dea-madre dell’antichità l’emblematica rappresentazione dell’Anima del Mondo, che alimenta l’intero creato secondo l’ordine divino. Bandita dal cielo cristiano, Iside continua a seminare nel mondo delle stelle e sulla terra l’essenza vitale. «Ella è la parte femminile della natura, ossia l’attività creativa».

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Un’incisione del XVII secolo raffigura l’Anima del Mondo che ancora conserva alcuni simboli dell’antica Iside: i capelli fluenti, la mezzaluna sul grembo, un piede sulla terra e l’altro nell’acqua.
Ella è incatenata a Dio secondo il detto di Plutarco: «Iside partecipa sempre del Supremo»; e l’uomo è incatenato a lei, poiché deve la vita al seme che le fluisce dal seno.

Altro tempo trascorse, ma non cancellò la sua immagine. Alla fine del XVII secolo, fu ricordata da uomini che si sarebbero creduti impervi a ogni sentimento magico, i condottieri della rivoluzione francese. Nella solenne cerimonia compiuta in onore dell’Essere Supremo, Robespierre, in un vago ricordo della misteriosa iscrizione di Sais, sollevò il velo che copriva una gigantesca statua di donna, Iside, il cui potere generativo era ora interpretato come la Ragione, la Nutrice del progresso.




Tratto da “Lo specchio della Magia” di Burt K.Seligmann, Edizioni Casini, 1965



INNO DI ISIDE

Perché io sono la prima e l’ultima
Io sono la venerata e la disprezzata,
Io sono la prostituta e la santa,
Io sono la sposa e la vergine,
Io sono la madre e la figlia,
Io sono le braccia di mia madre,
Io sono la sterile, eppure sono numerosi i miei figli,
Io sono la donna sposata e la nubile,
Io sono Colei che dà alla luce e Colei che non ha mai partorito,
Io sono la consolazione dei dolori del parto.
Io sono la sposa e lo sposo,
E fu il mio uomo che nutrì la mia fertilità,
Io sono la Madre di mio padre,
Io sono la sorella di mio marito,
Ed egli è il mio figliolo respinto.
Rispettatemi sempre,
Poiché io sono la Scandalosa e la Magnifica.


Rinvenuto a Nag Hammadi, Egitto; risalente al III-IV secolo a.C.


INNO A ISIDE



Tu, invero, santa e sempre pronta
a venire in soccorso di tutti gli uomini,
sempre generosa nei confronti dei mortali,
ai miseri in disgrazia accordi l’amore dolce della madre.

Neanche un giorno o una notte e neanche un solo momento,
per quanto breve possa essere,
passa privo della tua benedizione,
senza che tu protegga gli uomini in terra e mare
e offra la tua destra che offre soccorso,
allontanate le tempeste dell’esistenza,
grazie alla quale sciogli anche i lacci
inestricabilmente aggrovigliati di ogni destino,
calmi le tempeste della fortuna e arresti i crudeli corsi degli Astri.

Gli Dei superstiti ti venerano,
gli inferi ti onorano,
tu fai ruotare la sfera del cielo,
illumini il sole,
governi il mondo e calchi il Tartaro.

Grazie a te le stelle diventano propizie,
grazie a te tornano le stagioni,
gli Dei si rallegrano e gli elementi sono tuoi schiavi.
Ad un tuo cenno soffiano i venti, le nubi danno nutrimento,
i semi germogliano, i germogli crescono.

Gli uccelli che attraversano il cielo,
le fiere che si aggirano suoi monti,
i serpenti che si nascondono sul terreno,
i mostri che nuotano nel mare temono la tua maestà.

Ma le mie capacità sono troppo deboli
per far riecheggiare le tue lodi,
né sono così ricco da poterti offrire dei sacrifici,
né ho una così grande fecondia da poter dire
quelle cose che provo per la tua maestà,
né sarebbero sufficienti mille bocche ed altrettante lingue,
né una concatenazione senza fine di un sermone instancabile.
Pertanto cercherò di fare soltanto quello che invero può fare
uno che è devoto ma per il resto è povero:
contemplerò le tue sembianze divine e il tuo santissimo nume
riposti nei più segreti recessi del mio cuore custodendoli in eterno”.


Apuleio, Metamorphoses, XI, 25



Fonti: I Giardini della Luna
www.ilcalderonemagico.it
Feste Pagane

Dalla Saggezza diSkayler102

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