venerdì 20 gennaio 2012

✖ I Riti di Gennaio ✖




Feste dal Calendario Pagano
01 gennaio . Festa di Giano.
06 gennaio. Festa di Iside. Festa di Holla, di Frigg e di Fulla. Festa di Berchta. Battesimo di Osiride. Festa dei miracoli.
07 Gennaio. Festa di Skmet
09 gennaio. Festa di Selene.
17 gennaio. Festa di Odino.
21 gennaio. Giorno del Sorbo
29 gennaio I giorni della Merla
31 gennaio. Grande Sabba di Brigit. Festa di Brigid



Gennaio:
Mese di Janus, Dio dei nuovi inizi.

Non ci sono particolari riti per questo mese, almeno non ne ho nota. Ma essendo l'inizio dell anno, mi sento di consigliare pulizie profonde se nel caso non abbiate provveduto prima della fine di Dicembre, cosa che sarebbe stata meglio, visto che è usanza non lasciare mai nulla in sospeso tra un anno e l'altro.

Potreste nel caso ve ne foste dimenticati, provvedere a pulire la vostra stanza con particolare cura per il posto dove praticate il "vostro tempio". Una semplice miscela di erbe da bruciare o un acqua purificante dovrebbero bastare a riassettare il vostro spazio per l'anno che viene. Non dimenticate la vostra pulizia personale. Non solo fisica ma anche mentale.
Il nuovo anno è iniziato, perché non ricontrollare i propositi scritti a Yule e magari aggiungerne di nuovi?
In fine da qui a 30 giorni una nuova festa si avvicina, quindi preparatevi mentalmente per questo passaggio imminente.



Rito di purificazione spirituale per la casa

1 tazza di bicarbonato di sodio
1 cucchiaino di sale marino raffinato
1 cucchiaino di polvere di basilico essiccato
5 gocce di olio essenziale di limone
10 gocce di olio essenziale di lavanda

Mescolare in una ciotola e schiacciare tutti i grumi formati dagli oli essenziali quindi Versatelo in uno spruzzino o in una ciotola con dell acqua di sorgente. Passeggiata intorno alla vostra casa spruzzando un leggero strato su tutti i vostri tappeti e scale e sulla moquette. Non solo pulirete magicamente il tappeto, ma si eliminano anche gli odori Lasciate riposare per 10 minuti e poi pulite bene.



Capodanno 1 Gennaio
Per augurare un dolce e fortunato anno nuovo regalate un vasetto di fiori secchi sotto miele ed un rametto di alloro.
In queso periodo i romani si scambiavano questi doni che venivano chiamati "Stranae" e in alcune occasioni consistevano in una moneta con il volto del Dio Giano in un lato e di una nave nell'altro.
Festa dedicata all Dea Strenia (sabina) dea del nuovo anno il cui alloro era sacro.
La sera precedente come da tradizione fate gli auguri a parenti e amici offrendo una bevanda a base di sidro o birra speziata chiamata "Wassail", propizia la salute e la fortuna per il nuovo anno.
Altra tradizioni riguarda gli sposi a mezzanotte...che come buon auspicio bevono questa bevanda alternandosi sia da un calice solo che da due che si scambieranno ad ogni sorso.
Inoltre la coppa utilizzata per bere il Wassail deve essere decorata con nastri colorati e va conservata in mezzo ad un cerchio di mele già preparato sul tavolo.
In scozia c'è una tradizione popolare dei venti...ovvero... Vento del Sud porterà caldo e fertilità; Vento dell'ovest latte e pesce; vento del nord freddo e tempesta; vento dell'est frutti sugli alberi.


Festa di Janus. 1 Gennaio
"Janus, sebbene tu cominci ogni anno fugace e rinnovi le lunghe ere laddove tu appari, nonostante voti ed incensi ti vengano offerti piamente ed i consoli comincino ogni anno lasciando offerte ai tuoi piedi" Marziale,8.8.1-5


Theodosia- Il dono divino. 5 gennaio
Giornata dedicata a Dioniso quale dispensatore di gioie e ricchezze.
In antichità nel tempio dedicato a Dioniso sull'isola di Andros in Grecia, l'acqua della sacra fonte a lui dedicata prendeva sapore di vino.


Festa del ritorno del sole. 7 Gennaio
In questo giorno come usanza Norvegese si festeggiava il ritorno del sole.
La padrona di casa beveva un sorso di birra seduta davanti al focolaredopodichè ne versava un poco bnel fuoco dicendo "che il mio fuoco sia tale che neppure l'inferno sia cosi alto o più caldo"... seguiva il brindisi con la famiglia.


Festa di Sekhmet 26 Novembre
Una delle dee nutrici e protettrici dell'allattamento, signora della medicina e delle battaglie, originaria della citta' di Memphis, spesso raffigurata con corpo di donna e testa di leonessa.
Sekmet significa “la Potente”, e ha nel suo nome la stessa radice dello scettro reale Sekhem. Un altro titolo egiziano per Sekhmet è Nesert, la fiamma.

Sekhmet appartiene alla triade di Menfi: Ptah/Sekhmet/Nefertum, dove Ptah è il creatore delle cose buone (la formazione e la composizione), Sekhmet è la distruttrice delle cose cattive (la dissociazione e la scomposizione), Nefertum è la riaffermazione, la ricostruzione di ciò che è buono (la reintegrazione, la riedificazione, la ricomposizione).

Sekhmet è la distruzione di ciò che non può durare, che non ha stabilità. In questo senso è il Tempo, che divora tutto quanto gli appartiene.

Secondo il mito, Ra, il dio sole, deluso del comportamento del genere umano, mandò Sekhmet, il suo occhio divino, a impartire una punizione agli umani ma la Dea, una volta iniziato, continuò a distruggere gli uomini senza che nessuno potesse fermarla. Allora Ra, mosso a compassione, fece inondare i campi di birra mescolata con una sostanza rossa che le dava la sembianza di sangue; Sekhmet, assetata di sangue, bevve, si addormentò e cessò di distruggere il genere umano...

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In Egitto, Sekhmet era onorata come dea della guerra, associata al potere distruttivo del Sole, all'occhio solare che brucia e giudica. Avversaria spietata sul campo di battaglia, Sekhmet incarnava la forza e il coraggio della leonessa.
Tuttavia, non era vista solo come icona di guerra ed occhio vendicativo del dio del Sole: i sacerdoti erano soliti praticare in suo nome un genere di magia simpatica per guarire le infezioni e le malattie. In questo ruolo, Sekhmet era conosciuta come “la Signora di Vita”, dea della medicina, con potere di dispensare o scongiurare le malattie, e molti dei suoi sacerdoti erano medici.
Per arginare le pestilenze si effettuavano, invocandola, rituali su grande scala in tutto il paese. Durante il regno di Amenhotep III, sono state scolpite centinaia di grandi statue di Sekhmet, forse in occasione della sconfitta di una peste particolarmente virulenta.

Sekhmet sembra essere stata una divinità assai complessa: per i faraoni era un simbolo della loro riuscita in battaglia, della loro prodezza, ma era anche adorata come madre delicata e protettiva, dea dell’allattamento (è nota un'associazione Sekhmet-Hathor).
Nel Libro dei Morti Sekhmet ha un ruolo importante durante il giudizio della probità dell’anima in esame.

Sekhmet è connessa con la potenza solare che, attraversando la spina dorsale, Djed, porta l’illuminazione.

Al giorno d'oggi, molte donne considerano Sekhmet come fonte di resistenza, indipendenza e affermazione, quando hanno la necessità di aumentare o infondere in sé questi attributi.
In molti sensi Sekhmet si è trasformata nel simbolo della donna moderna: è ancora molto importante come dea della medicina, portatrice di giustizia e come guardiana o protettrice, ma l'enfasi si è spostata sui suoi aspetti più attuali.

Devozione alla leonessa: dea di collera e AFFERMAZIONE DI SÈ


Brucio e fumo e lancio coltelli dai miei occhi e ruggisco
(benchè tiriate la mia coda),
i miei aspetti sono taglienti ed ho graffiato in profondità,
la mia energia è forte e feroce,
ed il mio fastidio ha necessità di essere espresso.
Benché a volte delicata, io posso essere molto intensa.
Una volta risvegliata sono difficile da escludere:
sono sempre appropriata, sempre necessaria.
Non provare ad eliminarmi,
devo essere sentita... riconosciuta:
sono Leonessa.



La Leonessa salta nella nostra vita, per liberare i nostri istinti primari in maniera positiva e, in quest’ottica, per aiutarci ad affrontare la collera, nostra ed altrui.

La collera, vostra o di qualcun altro vi rende la vita difficile?
Disprezzate la vostra rabbia perché vi hanno insegnato che è disdicevole?
Oppure la rabbia che esprimete è eccessiva, troppo fuori controllo?
Inversamente, avete così tanto represso la collera e ve ne siete così tanto distaccate che ora non siete più in grado di esprimerla?
Magari vi sentite "costrette" nei ruoli sociali attribuiti alla donna?
Qualcuno vi sfrutta o non vi rispetta?
Siete in una situazione di “gabbia”, reale o interiore?
Siete stanche della responsabilità?
Avete un compagno che è - o fa - il leone?
Avete un branco di “cuccioli dipendenti” nella grotta?

La leonessa Nyavirezi ci racconta che la nostra aggressività fa parte della nostra struttura di donne. Ci chiede di non rigettarla ma di imparare a esprimerla in senso misurato ed efficace, comunicandola in modo che non possa essere ignorata, ma senza che diventi devastante.
Impariamo a convogliare i nostri segnali di collera interiore in comunicazione ed espressione; trasmettiamo agli altri la spiegazione del nostro malessere, mettiamo dei paletti alle aggressioni quotidiane, alle mancanze di rispetto, allo sfruttamento.
Il nostro percorso vitale sarà più sereno quando non ci faremo “pestare la coda”, utilizzando la rabbia come nostro alleato che ci avverte.
Ogni giorno ricostruiamo la nostra riserva di energia vitale che ci serve per nutrire e sostenere il branco. E’ una grande fatica e una responsabilità e, quando il branco se ne approfitta o siamo stanche, abbiamo il diritto di ruggire e segnalare che non siamo inesauribili!!!


E comunque, dovremmo avere più spesso il diritto di correre libere e ruggire sotto le stelle della savana, esprimendo la solare, calda, potente, flessuosa, attenta, responsabile e fiera leonessa che è in noi

Il rito della Leonessa

Suono di tamburi tribali. Notte calda, stelle, luna piena oppure, all’inverso, solleone e arsura.
Cercate assolutamente di essere all’aria aperta, ci deve essere spazio: bene un prato, un campo. Se proprio non potete trovare un posto all’aperto, ripiegate su una stanza abbastanza grande e sgombera, per potervi muovere.
Scegliete con cura la musica, un ritmo africano, in crescendo e animato, meglio se suonato dal vivo. Scegliete il brano con cura. È bene accendere un fuoco o almeno una candela.

Invocate Nyavirezi, chiamandola dalla direzione del Sud, del Fuoco.

Si comincia con la posizione del felino addormentato, sdraiatevi a terra su un fianco e quando comincia la musica iniziate con stiramenti, strusciamenti contro un tronco, una roccia (l’angolo del divano), sbadigli… la coda è già spuntata… si muove piano, flessuosa. Con fluidità di movimenti vi sollevate bocconi, mani e ginocchia in terra, stirate le zampe anteriori, una per una, poi le posteriori, all’indietro. Inginocchiate a quattro zampe, sul ritmo del tamburo inarcate e flettete la schiena, uno, due, uno due… fin quando il ritmo entra nella pelle.

In piedi ora: recuperate le vostre vere gambe di donna ma mantenete la coda e le zampe anteriori e la testa leonina.
Il tamburo incalza, lasciatevi andare, muovete i fianchi, graffiate, ruggite. Gli occhi sono felini e magnetici, il corpo è forte e orgoglioso, la mente veloce.

Se siete sole è ora di andare a caccia.
Date forma ai vostri desideri e alle vostre necessità, vedeteli come prede sparse nella savana. Piano, in silenzio, avvicinatevi sottovento. La preda è lì per voi, vi spetta di diritto, siete la regina: avete facoltà di prendere ciò che veramente vi occorre. Scattate in velocità, correte lunghi passi raccogliendo e distendendo le zampe, balzate con precisione, afferrate strettamente… godete la vittoria!

Se invece c’è con voi un compagno che ha voglia di fare il leone (forse meglio in questo caso stare al chiuso!), iniziate la danza d’amore, mordete, arretrate, balzate di fianco, scartate, offritevi e negatevi… è la leonessa che conduce il gioco sottile.
Decide lei come andrà a finire…

Potete continuare il gioco in molte situazioni: con le amiche formando un branco solidale che danza e caccia in allegria, con i vostri figli-cuccioli rotolandovi con loro sul lettone o in spiaggia, vestendo una istantanea pelle di leonessa quando il vostro capufficio vi sta umiliando (non occorre rispondergli, se siete connesse con la Dea, basterà inviargli un felino sguardo di ammonimento), oppure quando vi viene alle labbra un sonoro “mavaffàn…” e invece lo trasformate in un vero ruggito di avvertimento, quando vi annoiate a fare la spesa nel megacentro commerciale e il fustino per la lavatrice al prezzo migliore diventa una preda da stanare.
L’importante è “sentirsi” nella pelle della leonessa, fare appello alla propria regalità, alla propria determinazione, al proprio potere interiore.
Dopo non sarà difficile, con le parole o senza, chiedere di essere considerata Leonessa anche da quelli che vi amano.
Con rispetto.


Agonia- Festa di Janus e Jana.9 Gennaio
Janus, Dio che apre i cancelli celesti all'alba e li richiude al tramonto... si crede che lui e la sua compagna jana fossero la prikma coppia di divinità Sole/Luna fino a quando non vennero sostituiti con altri Dei...
E' il dio delle porte e delle entrate e va invocato prima di pgni altro per favorire l'inizio di imprese di ogni genere.
In suo onore si offrono focacce (chiamate iannuali) fatte con formaggio, farina, latte ed olio (bruciatele nel fuoco rituale), unitamente a chicci di farro e sale.
Queste offerte erano per un buon raccolto, ma non solo.. possono essere fatte anche per propiziare varie situazioni o per un anno fruttuoso.


Festa in onore di Giunone. 18 Gennaio
"Vieni, o massimamente casta regina dei cieli, appari in vesti regali e manifesta con un cenno il tuo consenso al vino che viene versato ed i dolci che, in alta pila, ti attendono.
Con te porta ogni erba per fare cessare il dolore e canzoni placanti da cantare". Tibullo, IV.6.1 ss.


Paganalia. Dal 24 al 26 Gennaio
Si offrono a Cerere e Tellus torte salate al farro, latte.


Giorni della Merla.29 Gennaio

.. e veggendo la caccia,
letizia presi a tutte altre dispari,
tanto ch'io volsi in sù l'ardita faccia,
gridando a Dio: "Ormai più non ti temo!"
come fé il merlo per poca bonaccia...
Sapia senese
in Dante, Purgatorio, XIII, 119 - 123



Racconta la leggenda che un tempo i merli erano tutti bianchi: così comincia la leggenda della Merla che, nelle sue varie versioni, segnala uno dei dì d'la marca, dei giorni di marca, giorni indicanti alla comunità rurale la posizione all'interno della Ruota dell'Anno.
Particolarmente diffusa nella Pianura Padana, lungo il Po, la leggenda del merlo appare anche in una citazione dantesca sempre in riferimento alla morale della leggenda che vede l'uccello ingannato dal clima rigido di gennaio.

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Il merlo, Turdus merula, è un uccello che in Italia tende a non migrare rimanendo in loco per tutto l'inverno.
Anticipando le prime avvisaglie di primavera, il canto del merlo può essere ingannatorio: non sempre infatti segnala che il caldo si stia realmente avvicinando.
Un proverbio romagnolo infatti ricorda: Merlo, di marzo non cantare, che il becco ti si potrebbe ghiacciare. Lascia che canti la tordella, che lei non ha paura di nessuno (Mèral, ‘d mêrz no’ cantê’, che e’ bëc u t’ s’ po’ agiazê. Lëssa ch’e’ chénta e’ ragiôn che lo u n’ha pavura d’inciôn).
A Bologna dicono Quand canta al mérel, a san fóra dl’invéren (Quando canta il merlo, siamo fuori dell’inverno).
I giorni della merla sono, secondo la tradizione, gli ultimi tre giorni di gennaio: il 29, il 30 e il 31 (benché per alcuni siano il 30 e 31 gennaio e il 1° febbraio).
Sono considerati i giorni più freddi dell'inverno, ma nell'eventualità che non fossero proprio freddi indicherebbero in quest'occasione che la Primavera arriverà tardi.
In questo senso ricordano molto l'uso della fase della luna e l'uscita dell'orso dalla tana come metodi per prevedere il clima: previsione che va fatta pochi giorni dopo ai Giorni della Merla, ovvero alla Candelora.

LE LEGGENDE

IL MERLO BEFFATO
Durante un qualsiasi mese di Gennaio, quando ancora durava 28 giorni, un Merlo sopravvisse al rigido freddo invernale e giungendo indenne alla fine del mese pensò di aver superato le asperità di Gennaio: così uscì baldanzoso dal nido cantando: "Più non ti curo Domine, che uscito son dal verno!".
Gennaio si risentì talmente tanto, permaloso com'era, che si allungò prendendo in prestito tre giorni a Febbraio e scatenando bufere di neve.
Il Merlo si rifugiò allora in un camino dove restò al riparo per quei tre giorni. Quando ne uscì era nero nero e così rimasero tutti i merli e le merle del mondo.

LA BIANCA MERLA
Ai tempi in cui Gennaio aveva 28 giorni ed i merli erano bianchi, una Merla coi suoi piccoli veniva continuamente strapazzata dal freddo che il mese sadicamente le mandava addosso ogni volta che lei tentava di uscire dal nido per procacciarsi del cibo. Stanca di questo trattamento un inverno la Merla fece sufficienti provviste per giungere alla fine del mese. Proprio in quell'ultimo giorno, pensando di aver ingannato il gelo l'uccello uscì dal suo nido a cantar vittoria.
Gennaio permaloso per vendicarsi prese in prestito tre giorni a Febbraio e sferzò gelo e neve tanto che la Merla ed i suoi piccoli per salvarsi dovettero rifugiarsi in un caldo comignolo. Quando ne uscirono erano neri di fuliggine, ma per la gratitudine di essere salvi rimasero neri per ogni generazione futura.

MERLO E MERLA
Una coppia di merli soffrivano la fame a causa del freddo Gennaio, il maschio vedendo la sua compagna giunta allo stremo delle forze decise di uscirre dal nido in cerca di cibo.
La ricerca nel freddo del mese fu così dura che tornò dopo tre giorni ma la Merla, per stare al caldo, si era rifugiata nella canna di un camino. Quando il merlo la incontrò vide solo un uccello nero nero e non la riconobbe: così ripartì per cercarla. Lei morì di fame e di stenti.

MERLO E MERLA: GIOVANI SPOSI
Merlo e Merla sono due giovani sposi che, sposandosi come di tradizione nel paese della sposa che si trovava oltre il Po, sono costretti ad attraversare il fiume per giungere di ritorno nella loro casa.
Dopo aver atteso ben tre giorni dai parenti in attesa che le condizioni climatiche migliorassero e visto che non vi era nessun cenno di miglioramento, decisero di attraversare a piedi il fiume che, dato il gran freddo, era ghiacciato.
Purtroppo Merlo nell'attraversamento del fiume, morì poiché la lastra di ghiaccio non resse il suo peso. Merla pianse così tanto di dolore che il suo lamento si sente ancora oggi lungo le acque del Po nelle notti di fine Gennaio.
Ancora oggi, in ricordo di questo triste episodio, le giovani in età da marito si recano sulle rive del fiume nei tre giorni della Merla per ballare e cantare una canzone propiziatoria il cui ritornello dice: «E di sera e di mattina la sua Merla poverina piange il Merlo e piangerà».

MERLO E MERLA AL BALLO
Merlo e Merla erano due giovani allegri che amavano andare a ballare nelle serate invernali. In una di queste, per guadagnare tempo, decisero di attraversare il fiume. Ma la lastra di ghiaccio che ricopriva il Po non resse il loro peso e si ruppe.
Caddero così nelle acque gelide dove perirono. Unica testimone della loro morte fu una merla che per tre giorni, gli ultimi di gennaio, cinguettò sui passanti per chiedere aiuto.
Al terzo giorno il sole sciolse il ghiaccio ed il fiume restituì i cadaveri dei due ragazzi e sul quel luogo sbocciarono splendidi fiori.

MERLA: LA FANCIULLA SBADATA
Merla era una fanciulla bella e semplice ma con la passione della danza. Così nelle lunghe notti d'inverno adorava andare a ballare nelle cascine dove si suonava per passare la lunga stagione invernale.
Una di queste sere per recarsi ad un ballo, Merla attraversò di corsa una lastra di ghiaccio che copriva il Po. Il ghiaccio non resse il peso e la giovane fanciulla cadde nell'acqua scomparendo.
I suoi amici la cercarono per tre giorni, gli ultimi di Gennaio, senza mai più trovarla.

IL DUCA DI GONZAGA O NAPOLEONE?
Uno dei duchi Gonzaga (ma che in alcune versioni è Napoleone) doveva attraversare il Po.
Volendo fare un riposino avvertì il suo servo, alla guida del carro, di avvisarlo quando sarebbero giunti al fiume.
Il servo, arrivato sulle sponde del Po, vide che il freddo intenso degli ultimi giorni ne aveva ghiacciato le acque. Pensando di fare cosa gradita al duca incitò la sua cavalla, chiamata la Merla, a passare col carro sulla lastra ghiacciata.
Siccome la traversata sul ghiaccio sarebbe stata agevole, non ritenne necessario svegliare il suo padrone.
Quando il Gonzaga si svegliò il servo gli disse trionfante che "la Mèrla l'ha passà al Po" (La Merla ha passato il Po).
Il duca montò su tutte le furie perché il servo non aveva obbedito ai suoi ordini e arrivato a destinazione lo fece impiccare.


Come si può notare il mito è andato a modificarsi lungo il tempo e potremmo ben sostenere che la versione più antica sia la prima, quella del merlo che sbeffeggia Gennaio, visto che è riportata da Dante nel Purgatorio (vedi citazione iniziale).
In effetti nel calendario romano il mese di Gennaio aveva veramente solo 28 o 29 giorni (a seconda dei ritocchi) sin dai tempi di Numa Pompilio e della sua riforma del 713 a. C. quando il calendario a Roma divenne da lunare a luni-solare (e furono inseriti i mesi di Gennaio e Febbraio).
Fu poi nel 46 a. C. che Gennaio prese "in prestito" i tre giorni a Febbraio, grazie all'introduzione del calendario giuliano che rendeva il computo dei giorni decisamente e definitivamente solare.
Questa indicazione ci fa notare come il mito fiabesco continui a tramandare un passaggio, culturalmente molto significativo, che ha segnato il cambiamento tra due culture: una lunare (e matrilineare o matrifocale del tardo Paleolitico - Neolitico) e l'altra solare (patrilineare e patriarcale).
Un secondo indizio che scaturisce dalla storia ci porta alla morale: nel linguaggio popolare dare del merlo a qualcuno significa considerarlo uno sprovveduto e un sempliciotto, tanto ingenuo da cantar vittoria prima del tempo.
Ma la fiaba del Merlo o della Merla pare essere strettamente legata alla cultura contadina del Po: ragazze o ragazzi che, ingenui come merli, perdono la vita nel loro tentativo di attraversare il fiume ghiacciato.
Le fiabe, così come i miti, servivano a tramandare oralmente il sapere del popolo, sapere strettamente legato al luogo nel quale la comunità viveva.
Purtroppo la gente del Po è sparita, divorata dall'industrializzazione dell'ultimo mezzo secolo, ed il fiume ha perso così le sue fate e gli spiriti di splendide fanciulle che, come narravano gli anziani, ne custodivano le acque.
Perdere la vita sul fiume non era un evento insolito: i fiori che germogliano accanto alle vittime, anche se solo in senso simbolico, rimangono ad indicare quella continuità, quella catena Vita - Morte - Vita che tutte le culture tradizionali hanno sempre considerato la chiave di lettura fondamentale per interpretare il senso dell'esistenza.
Della cultura rurale e dello storico passato non rimane che il ricordo di un detto che perde di significato a meno che non decidiamo di guardar fuori dalle nostre finestre e scoprire se la Merla canta, se la giornata è scura e se il Po è gelato.
Di sicuro rimane il beffardo Gennaio che, a tutt'oggi, non ha ancora restituito quei tre giorni!



Festival di Hecate.31 Gennaio
Lasciate del latte, farina e del mieie in cocci di terracotta agli incroci per Hecate: "Notturna hecate, che vieni invocate nei crocicchi di tutte le città, e vendicatrici Dirae e Dea dell'Elissa dei morenti, udite le nostre preghiere; ascoltateci e dirigete i vostri tremendi poteri conro coloro che li meritano" Virgilio,Eneide IV.609


Festa di Brigid. 31 Gennaio
Brigit, Dea della Poesia, figlia del Grande Dio Dagda e controparte celtica di Athena-Minerva, è la conservatrice della tradizione perché, per gli antichi Celti, la poesia era un’arte sacra che trascendeva la semplice composizione di versi e diventava magia, rito, personificazione della memoria ancestrale delle popolazioni.
La capacità di lavorare i metalli era ritenuta anch’essa una professione magica e le figure di fabbri semi-divini si stagliano nelle mitologie non solo europee ma anche extra-europee; l’alchimia medievale fu l’ultima espressione tradizionale di questa concezione sacra della metallurgia.
Sotto l’egida di Brigit erano anche i misteri druidici della guarigione, e di questo sono testimonianza le numerose “sorgenti di Brigit”. Diffuse un po’ ovunque nelle Isole Britanniche, alcune di esse hanno preservato fino ad oggi numerose tradizioni circa le loro qualità guaritrici.
Ancora oggi, ai rami degli alberi che sorgono nelle loro vicinanze, i contadini appendono strisce di stoffa o nastri a indicare le malattie da cui vogliono essere guariti.
Sacri a Brigit erano la ruota del filatoio, la coppa e lo specchio. Lo specchio è strumento di divinazione e simboleggia l’immagine dell’Altro Mondo cui hanno accesso eroi e iniziati. La ruota del filatoio è il centro ruotante del cosmo, il volgere della Ruota dell’Anno e anche la ruota che fila i fili delle nostre vite. La coppa è il grembo della Dea da cui tutte le cose nascono.
Cristianizzata come Santa Bridget o Bride, come viene chiamata familiarmente in gaelico, essa venne ritenuta la miracolosa levatrice o madre adottiva di Gesù Cristo e la sua festa si celebra appunto l’1 febbraio, giorno di Santa Bridget o Là Fhéile Brfd.
Riguardo questa santa, di cui è tanto dubbia l’esistenza storica quanto certa la sua derivazione pagana, si diceva che avesse il potere di moltiplicare cibi e bevande per nutrire i poveri, potendo trasformare in birra perfino l’acqua in cui si lavava!
A Santa Bridget fu consacrato il monastero irlandese di Kildare, dove un fuoco in suo onore era mantenuto perpetuamente acceso da diciannove monache.
Ogni suora a turno vegliava sul fuoco per un’intera giornata di un ciclo di venti giorni; quando giungeva il turno della diciannovesima suora ella doveva pronunciare la formula rituale “Bridget proteggi il tuo fuoco. Questa è la tua notte”.
Il ventesimo giorno si diceva fosse la stessa Bridget a tenere miracolosamente acceso il fuoco. Il numero diciannove richiama il ciclo lunare metonico che si ripete identico ogni diciannove anni solari.

Inutile ricordare come questa usanza ricordasse il collegio delle Vestali che tenevano sempre acceso il sacro fuoco di vesta nell’antica Roma, ma più probabilmente la devozione delle suore di Kildare si ricollega alle Galliceniae, una leggendaria sorellanza di druidesse che sorvegliavano gelosamente il loro recinto sacro dall’intrusione degli uomini e i cui riti furono mantenuti attraverso molte generazioni.
Allo stesso modo, nel monastero di Kildare solo alle donne era concesso di entrare nel recinto dove bruciava il fuoco, che veniva tenuto acceso con mantici, come ricorda Geraldo di Cambria nel 120 secolo.
Il fuoco bruciò ininterrottamente dal tempo della leggendaria fondazione del santuario, nel VI secolo, fino al regno di Enrico VIII, quando la Riforma protestante pose fine a questa devozione più pagana che cattolica.
I riti di Brigit celebrati a Imbolc ci sono stati tramandati dal folklore scozzese e irlandese.

Nelle Isole Ebridi (che forse devono il loro nome proprio a Brigit o Bride) le donne dei villaggi si radunano insieme in qualche casa e fabbricano un’ immagine dell’antica Dea, la vestono di bianco e pongono un cristallo sulla posizione del cuore. In Scozia, la vigilia di Santa Bridget le donne vestono un fascio di spighe di avena con abiti femminili e lo depongono in una cesta, il “letto di Brid”, con a fianco un bastone di forma fallica. Poi esse gridano tre volte “Brid è venuta, Brid è benvenuta!”, indi lasciano bruciare torce e candele vicino al “letto” tutta la notte.
Se la mattina dopo trovano l’impronta del bastone nelle ceneri del focolare, ne traggono un presagio di prosperità per l’anno a venire. Il significato di questa usanza è chiaro: le donne preparano un luogo per accogliere la Dea e invitano allo stesso tempo il potere fecondante maschile a unirsi a lei.
Anche nell’isola di Man veniva compiuta una cerimonia simile, chiamata Laa’l Breesley.

Nell’Inghilterra del Nord, terra dell’antica Brigantia, la ricorrenza veniva denominata “Giorno delle Levatrici”.
In Irlanda, si preparano con giunchi e rametti le cosiddette croci di Brigit, a quattro bracci uguali racchiusi in un cerchio, cioè la figura della ruota solare (che è simbolo appropriato per una divinità del fuoco e della luce); lo stesso giorno vengono bruciate le croci preparate l’anno prima e conservate fino ad allora.La fabbricazione delle croci di Brigit deriva forse da un’antica usanza precristiana collegata alla preparazione dei semi di grano per la semina.

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Questi oggetti simbolici, confezionati con materiale vegetale, ci ricordano tra l’altro che la luce ed il calore sono indispensabili alla vegetazione che si rinnova in continuazione, anno dopo anno.
Le spighe di avena (o grano, orzo, ecc.) usate per fabbricare le bambole di Brigit, provengono dall’ultimo covone del raccolto dell’anno precedente. Questo ultimo covone, in molte tradizioni europee è chiamato la Madre del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.) e la bambola propiziatoria confezionata con le sue spighe è la Fanciulla del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.).

Si credeva cioè che lo spirito del cereale o la stessa Dea del Grano risiedesse nell’ultimo covone mietuto: come le spighe del vecchio raccolto sono il seme di quello successivo, così la vecchia divinità dell’autunno e dell’inverno si trasformava nella giovane Dea della primavera, in quella infinita catena di immortalità che è il ciclo di nascita, morte e rinascita. E Brigit rappresenta appunto la giovane Dea della primavera.

Un antico codice irlandese, il Libro di Lismore, riporta una curiosa leggenda. Si narra che a Roma i ragazzi usavano giocare ad un gioco da tavolo in cui una vecchia megera liberava un drago mentre dall’altra parte una giovane fanciulla lasciava libero un agnello che sconfiggeva il drago. La megera allora scagliava un leone contro la fanciulla, la quale però provocava a sua volta una grandine che abbatteva il leone.
Papa Bonifacio, dopo aver interrogato i ragazzi e aver saputo che il gioco era stato insegnato loro dalla Sibilla, lo proibì.
La megera non è altro che la Vecchia Dea dell’Inverno sconfitta dalla Giovane Dea della Primavera. Essendo questa leggenda stata raccolta in un ambito culturale celtico, si può supporre che la Vecchia altri non era che la Cailleach a cui si contrappone Brigit. Il riferimento all’agnello è un altro simbolo del periodo di Imbolc, anche se i commentatori medievali lo considerarono l’emblema di Gesù Cristo.

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In realtà è la Vecchia Dea che si rinnova trasformandosi in Giovane Dea, così come il Vecchio Grano diviene il nuovo raccolto. I Carmina Gadelica, una raccolta di miti, proverbi e poemi gaelici di Scozia, raccolti e trascritti alla fine dell’800 dal folklorista scozzese Alexander Carmichael, riportano la seguente filastrocca:


La mattina del Giorno di Bride
Il serpente uscirà fuori dalla tana
Non molesterò il serpente
Né il serpente molesterà me



Il serpente appare come uno degli animali-totem di Brigit. In molte culture il serpente o drago è simbolo dello spirito della terra e delle forze naturali di crescita, decadimento e rinnovamento.

Nel giorno di Bride il serpente si risveglia dal suo sonno invernale e i contadini ne traevano il presagio della fine imminente della cattiva stagione. Il serpente è uno dei molti aspetti dell’antica Dea della terra: la muta della sua pelle simboleggia il rinnovamento della Natura e anche la sua dualità Infatti in gaelico “neamh” (cielo) è simile a “naimh” (veleno), provenendo entrambi dalla radice “nem”.

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La Vecchia Dea e la Giovane Dea sono la stessa persona! (nelle fiabe l’eroe che coraggiosamente bacia una vecchia megera si ritrova di fronte una bellissima fanciulla...)

Brigid è la patrona della Candelora, festa solare di Fuoco, celebrata anche sotto il nome di Imbolc.
La Dea - che era contemporaneamente la protettrice dei fabbri, dei poeti e dei guaritori - rappresenta:
• il fuoco dell’ispirazione come patrona della poesia
• il fuoco del focolare, come patrona della guarigione e fertilità’
• il fuoco della forgia, come patrona dei fabbri e delle arti marziali.



Fonte e Ringraziamenti
lilithcry per festività di gennaio con Magia pagana, elfi edizioni
Feste Pagane, di Roberto Fattore per Festa di Brigid
www.ilcalderonemagico.it per Festa diSemek
Giorni della Merla ©2009 Testo e ricerca di Micaela Balice per www.strie.it

Dalla Saggezza diSkayler102

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