venerdì 20 gennaio 2012

Le masche tra leggenda e realtà
Le masche sono presenti in diverse culture delle valli piemontesi. La loro origine è da ricondursi a quella relativa alle streghe. Nelle millenarie culture pre-cristiane di origine celtica e longobarda esistevano radicati elementi magici che condizionavano la gravosa vita della popolazione montanara. Le masche potevano essere donne particolarmente emancipate, che tentavano di elevarsi dal contesto sociale che le privava di molte opportunità, applicando le loro conoscenze nella primitiva medicina e nella vita spirituale. Erano insomma delle druide, sciamane del villaggio. Oppure, più semplicemente, erano donne che si specializzavano nella pratica degli elementi magici e superstiziosi.
Come ancora oggi omeopatia e medicina si mescolano creando spesso confusione e ignoranza nella gente, anche un tempo una masca poteva essere una donna che conosceva le erbe e sapeva preparare infusioni dal sicuro effetto, oppure praticare riti magici e oscure maledizioni. Con la differenza che la scienza era ancora in divenire e il suo confine con la magia molto aleatorio.
Le masche da un lato venivano interpellate dalla gente perché, credendole dotate di poteri magici, avrebbero potuto guarire malanni, allontanare oscuri presagi, difendere da malocchi e dannazioni, propiziare una stagione favorevole. D’altra parte, per via delle loro pratiche, potevano anche venire guardate con sospetto o timore, ed essere accusate di danni e sventure.
Con l’avvento del Cristianesimo questi elementi magici, propri di millenarie culture di origine celtica e longobarda, vennero sfruttati dalla nuova religione per radicarsi con maggiore effetto tra la popolazione, epurandoli dai componenti blasfemi. E fu proprio allora che la paura e la persecuzione delle masche si acuì. Le masche vennero individuate in tutte le donne un po’ diverse, esperte in erbe e pratiche magiche, a volte malate o semplicemente ostili all’omologazione sociale. Le masche, accusate di fare la fisica - una sorta di fattura maligna e pericolosa, una stregoneria, si dovettero sovente nascondere o ritrovare in luoghi di cui la gente portò sempre timore, luoghi già magici o spettrali, di cui si tramandarono fiabe e leggende. Luoghi come il Roc d’le Masche, appunto.
Durante l’Inquisizione la persecuzione delle masche e la paura indotta dalle Istituzioni nei loro confronti raggiunse l’apice. Ci furono esecuzioni e torture, molte donne furono impiccate, decapitate, o arse vive. Per numerose persone fu sufficiente qualche affermazione che potesse destare il sospetto di comportamenti non ortodossi per decretarne la condanna o comunque l’etichettamento di masca.
Sostenuta anche da paure e superstizioni, la religiosità divenne un’ancora solida nella vita della gente. Eccone ad esempio traccia nei numerosi santuari e piloni votivi disseminati un po’ ovunque in montagna. Oltre alla funzione strettamente religiosa servirono per proteggere i viaggiatori dalle minacce incombenti delle masche.
È in questa mescola di credenze, fede e superstizione che si tramandano fiabe e leggende, di tradizione orale, mutevoli negli anni.
Vonzo è un ottimo esempio di questa cultura, ma pochi vecchi rimasti ancora ricordano. Il paese di Vonzo è molto antico. Chi ha occasione di visitare il Museo della Montagna può notare come questo nome compaia in cartine del XIV secolo, quando spesso non è citato nemmeno Chialamberto, che è oggi il centro principale e Comune. Vonzo infatti giace in una conca molto assolata, a circa 1200m di quota e invisibile dalla valle. Sarà per questo, si dice, che qui hanno trovato ospitalità da sempre le genti più perseguitate, in cerca di rifugio. Tra le quali, ovviamente, le vere o presunte masche, protagoniste di numerosi aneddoti e racconti. Eccone alcuni esempi.
Le masche avevano una notte della settimana preferita per uscire e incontrarsi, praticare i loro riti magici e sabbatici. Era quella del venerdì: in questa notte era bene evitare con cura di uscire dai sentieri segnalati, lontano da santuari e luoghi non benedetti. Stesso discorso per la notte fatata del primo novembre, notte in cui le anime dei morti prendevano il volo e le masche si intermediavano con esse, rafforzando il proprio potere. Si usava, prima di andare a dormire, lasciare sul tavolo un piatto colmo di castagne bollite e già pelate, in modo che le anime dei defunti potessero saziarsi compiaciute senza importunare i vivi. Trovarsi da soli la notte del primo novembre nei sentieri tra i boschi che univano i solitari villaggi alpestri poteva davvero essere pericoloso: non erano sufficienti i numerosi piloni votivi e la più ferrea delle fedi per tenere lontani spettri e masche. Una fiaba racconta di una persona che si trovava la notte del primo novembre a dover percorrere da sola il sentiero che collegava Vonzo a Chialamberto. Solamente la difesa di un’anima della propria famiglia, che passava di lì per caso, e qualche preghiera presso i numerosi piloni votivi sui lati del sentiero gli consentiva infine il ritorno a casa, tra innumerevoli sentori di oscure presenze, masche e visioni che si animavano nel bosco durante il viaggio.
C’è da dire che non tutti gli spiriti erano cattivi. Ad esempio, lo spirit-fulét si divertiva a combinare innocui scherzi, come muovere i tetti di lose per non lasciar dormire, imbrattare le maniglie delle porte o i muri di pece. Non era cattivo, se nessuno osava interferire con il suo lavoro, altrimenti…
Le masche invece ogni tanto erano davvero cattive. Si dice che una volta rapirono un bambino di Candiela, e lo portarono in cima ad una acuminata roccia nei ripidi pendii sotto il Soglio (un piccolo insieme di case ad est di Vonzo). Si riunì un gruppo di coraggiosi che tutta la notte seguì le urla del bimbo, senza trovarlo. Solo la mattina dopo, quando la masca svanì, fu possibile individuare la roccia prima occultata da un tenebroso sortilegio. Il bimbo raccontò che tutta la notte una donna vestita di nero, muta, restò con lui regalandogli di tanto in tanto alcune caramelle, per poi sparire sul fare del giorno.
Ma tra le fiabe, la più famosa fu quella che ebbe come oggetto proprio il Roc d’le Masche e il suo magico trasporto fino a Lanzo per soddisfare una bravata ai danni del Diavolo.
Oggi le masche non ci sono più. Gli alpeggi son stati quasi tutti abbandonati e Vonzo è diventato un villaggio turistico. Nessuno si riunisce più nelle stalle la sera per raccontare fiabe, confortevoli carrozzabili uniscono tutti i paesi e gli antichi sentieri non sono più praticati, men che mai di notte. Il Roc d’le Masche è solo più una grossa pietra dai curiosi incavi e dalla mole imponente.
Eppure, ancora oggi, qualcuno giura, il venerdì notte, di aver visto…

Dalla Saggezza distregadellaterra

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